Tifeo, il gigante che fa tremare la terra. E noi non sappiamo cosa fare

La terra ha tremato. Nella profondità della notte, quando tutto tace, quando ogni creatura esplora le terre di Morfeo. Un terremoto ha scosso le nostre vite, alle 2,34 con intensità pari a 4,8 della scala Richter. Ha scosso le terre che lambiscono la Valle del Simeto, a sud del vulcano Etna. Prima, con altre scosse – più lievi – verso il mare e verso Bronte. Poi Santa Maria di Licodia (antico monastero), Biancavilla, Paternò e Adrano. Una linea immaginifica mette in relazione queste città con il mare. Da sud-est verso nord-ovest. Una frattura della terra, il magma che risale dalle viscere del vulcano. Paura, sconforto, impotenza. La consapevolezza di essere in balia della natura. Senza scampo. Pochi secondi che sembrano un’eternità. I rumori si fanno assordanti nella notte e cade qualcosa: pietre, calcinacci, oggetti e vetri rotti. Paura, angoscia. Cosa fare? Dove andare? Il pensiero corre subito alle persone che amiamo. Il pensiero corre subito alla memoria di altri terremoti. Quelli impressionanti che hanno stravolto altre terre, altre città, lontane. Siamo stati fortunati – almeno ad oggi – e la natura è stata prudente, come una madre. Ci ha solo avvertiti. Dobbiamo fare qualcosa perché, prima o poi, ritornerà come ha sempre fatto. Lo sanno tutti e per quel giorno, dobbiamo essere preparati. La nostra è una terra che trema. Da sempre.
 
I greci lo sapevano, anche loro. Ma il racconto – persino di una cosa così terrificante – afferisce alla poesia e alla mitologia. Secondo Eschilo, il gigante Tifeo – figlio di Gea – fu confinato sotto la Sicilia dallo stesso Zeus. Le sue braccia protese versoPeloro (Messina) e Pachino (Siracusa). Le sue gambe distese verso Lilibeo (Trapani) e la sua bocca sotto il vulcano dell’Etna. Il gigante urla, sputa verso il cielo e si dimena. Tenta di liberarsi dalle catene a cui Zeus lo ha condannato e nello stesso tempo regge la terra di Sicilia in mezzo al mare. In questo modo, così poetico, la mitologia spiega le leggi della natura. In questo modo era possibile comprendere i terremoti verso Messina, Siracusa e il Belice e nello stesso tempo le eruzioni del vulcano. Una forma antropomorfa della natura. Un modo per creare un più vivo contatto con i suoi misteri. Quindi ogni qual volta che la terra trema o il vulcano erutta magma incandescente, il pensiero torna a Tifeo, il gigante imprigionato sotto la Sicilia. E questa volta, pare che abbia mosso le spalle e la testa, per urlare qualcosa agli uomini.
 
Dopo la scossa, la notte è diventata giorno. Il terremoto ha mosso gli uomini in strada. Per fortuna nulla di veramente grave è accaduto. Tutti collegati sui social per capire e sapere. Le televisioni hanno cominciato a mandare in onda i primi speciali e a tutti è venuta voglia di un cornetto e di un caffè. La verità è che si sentiva l’esigenza di stare insieme, di confortarsi, di rassicurarsi. Qualcuno è uscito, qualcuno ha continuato a vedere la TV. Qualcuno ha portato una raviola (dolce alla ricotta) al farmacista che faceva la notte ed è sembrata una festa. Sì, perché non è successo nulla di grave e Tifeo stavolta ha solo mosso le spalle. Le caffetterie erano tutte aperte e i cornetti caldi già pronti. Intorno ai parchi e negli slarghi: macchine, donne, anziani e bambini. In pigiama, con le coperte e il cellulare in mano. Come se avesse vinto la nazionale a fare caroselli, ma senza esultare. Un modo per stigmatizzare la paura dello scampato pericolo. Poi piano piano tutti sono tornati nelle proprie case. Sarà finita?
 
Ma Tifeo ha solo mandato un messaggio. In mezzo a tutto questo, sono emerse anche molte criticità. La gente vagava tra le strade senza meta. Usciva da casa senza sapere dove andare e come fare. La macchina dell’emergenza e della prevenzione scricchiolava come la terra. Tutto troppo improvvisato, tutto troppo lasciato al caso. Le foto, i video, la gente che scherzava faceva passare in secondo piano la voragine che si materializzava sempre più. E se fosse stato un terremoto mortale? E se non avessimo avuto il tempo per il cornetto e il caffe? E se avessimo dovuto scappare tra le macerie? Da una parte la nostra innata voglia di sottovalutare ogni cosa con l’ironia e la teatralità tipica della nostra cultura, dall’altra una carenza di investimenti sulla sicurezza urbana. Qual è lo stato di salute delle nostre case? Degli ospedali? Delle scuole? Degli edifici pubblici? Della macchina organizzativa dell’emergenza? Dei protocolli in caso di evento sismico? Dove le aree di attesa? Dove l’unità di crisi? E’ andata bene e Tifeo ha solo dato un avvertimento.
 
Serve tanto. Serve capire che c’è molto da fare. A partire dal Piano di Protezione Civile, che non è uno strumento burocratico ma operativo. Serve capire quali sono le parti di territorio e gli edifici più fragili e su quelli investire subito.Serve proteggere le vie di fuga e di emergenza come ponti, strade e ferrovie. Serve educare la popolazione all’emergenza. Serve monitorare e pianificare costantemente. Serve recuperare il patrimonio edilizio esistente per rendere sicura la città. Serve avere una visione. Serve essere competenti, operativi e lungimiranti. L’imbarazzante procedura che si è attivata nelle scuole di Paternò è l’ultima cosa che bisogna fare. “Dirigenti incaricati per telefono di fare le verifiche sullo stato degli edifici in sostituzione dei tecnici specializzati” (quanto accaduto a Paternò) . Non si può sperare sempre nell’iniziativa dei dirigenti scolastici per risolvere questioni delicate come la sicurezza dei ragazzi e della scuola. Ci sono procedure e protocolli da seguire. Nulla può essere improvvisato. Investire nella sicurezza urbana significa investire nella vita dei suoi abitanti. Significa essere pronti, perché Tifeo non predice a nessuno le sue mosse.
 
Che sia da monito a chi deve capire. Santa Barbara – con i suoi calcinacci  – ha solo dato un segnale. Agire subito, agire bene, agire sempre. Nessuno pretende che in un battito di ciglia tutto quello che non è stato fatto nel passato sia risolto, ma serve un cambio di passo. La terra trema ancora e Tifeo muove le sue braccia e si prepara a urla di fuoco. L’Etna è pronta, le salinelle sotto l’acropoli ci parlano e la terra fluttua nel mare. Ora serve agire, subito.
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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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