Al Piccolo Teatro di Paternò l’epica cavalleresca dell’Opra dei Pupi: salto nel tempo con Thalía

pupi

Un teatro antico, profondo, dai colori accesi. Suoni che solcano il tempo e voci roboanti che si rincorrono dentro lo spazio di un vecchio magazzino.

La sera della domenica dopo l’Immacolata, a Paternò, una piccola compagnia teatrale – come una famiglia, di quelle nobili, che hanno antiche tradizioni – rappresenterà, per la prima volta, dopo più di cinquant’anni, il III episodio delle prime imprese di Caro Magno. Al Piccolo Teatro di Paternò – dentro l’antico convento delle Benedettine – torneranno a vivere le gesta dell’epica cavalleresca.
Come un bambino guardo stupito le ultime prove, quelle che si fanno in segreto. Quelle dove si possono scoprire i misteri di quest’antica arte che affonda le sue radici nei primi dell’Ottocento e che arriva in Sicilia proprio a Paternò con la famiglia Crimi.
Incontro – dietro le quinte – Antonino Viola, la sua famiglia e tra lo scannoapoggio, (piccolo retro palco per manovrare i pupi) e il laboratorio, ci sono i parraturi – uomini e donne, giovanissimi, che provano e riprovano le parti, con voci piene di pathos e di energia dirompente. Uno spettacolo nello spettacolo.

Un laboratorio di arte e di manualità sincera.

Qui il maestro Martino Rabuazzo – che osserva ogni gesto dei suoi pupi, ci accompagna dentro la sua officina che è uno scrigno prezioso di memoria. Un esercito di maschere, di corpi, di stoffe, di armature, di piume e di ricordi. Il pupo è una metafora della vita. Un esempio per tutti. Anche loro hanno un’anima e il maestro ci porta dentro l’essenza delle sue creature. Ci spiega che il pupo catanese è un pupo speciale. Sarà la “catanesità” di quest’uomo che vive nel quartiere greco du’ “chianu e canne” (piano delle canne); sarà l’orgoglio di un artigiano che lavora lontano dai riflettori, sarà la magia del momento ma scopro che dietro quel pupo di legno c’è tanto altro. Orlando, Rinaldo, Ruggero, Angelica, Carlo Magno, i saraceni e gli infedeli, Pulicante e i traditori, draghi, dame e l’unicorno. Un mondo fantastico.
“I pupi sono espressione – splendente – di quello spirito epico, eroico e cavalleresco che dalla Chanson de geste medievale ai grandi poemi del Boiardo e dell’Ariosto, a tutta una tradizione letteraria, musicale, figurativa, e in particolare teatrale popolare, segna lo sviluppo di un’educazione sentimentale e di una visione etica e poetica del mondo” (www.lentinionline.it/sicilia/i_pupi_siciliani.htm).

Dicevamo del pupo catanese.

Questo non ruota le ginocchia – sono bloccate, al contrario di quelli costruiti altrove – perché questo pupo non si può inchinare davanti a nessuno, e sembra quasi un monito. Ha la spada e la tiene sempre sguainata, perché è sempre pronto (in altre provincie non è cosi). Il pupo catanese è un pezzo da novanta – perché è alto più degli altri (oltre un metro), perché conta e ha peso, perché si fa rispettare. Non si inginocchia mai, sempre pronto alla battaglia. Sembra un monito: persino i pupi hanno una dignità da queste parti. Non sono marionette con i fili e non sono bassi, piccoli e bavosi. Meglio Pupi che pupazzi. Manianti e parraturi sono, con il pupo, la stessa cosa. Sono la stessa idea. Ci vuole forza per manovrare un pupo alto più di un metro (un pezzo da novanta). Ci vuole un una voce portentosa per dare il timbro giusto e la giusta enfasi ai personaggi dell’opera dei pupi. Pupi e pupari sono la stessa cosa. Sono un’idea, sono un sogno, sono un’unica voce, un unico gesto. E questo è un monito per tutti.

La fabbrica dell’Opra – programma teatrale che dura un anno, diviso in più eventi – proposto dalla compagnia teatrale Thalía e i pupi di Martino Rabuazzo, ci porta indietro nel tempo.

Svela la dimensione politica del teatro popolare. Quello che si rappresentava tutte le sere, nei vecchi magazzini, per i contadini, gli operai, per le donne e gli uomini semplici. Un teatro che parla di temi forti: la giustizia, l’onore, dell’invidia e dell’ignavia. Idee politiche, prese di posizioni, ideali e tradimenti. L’atlante delle umane debolezze e delle virtù. Nell’antichità le rappresentazioni duravano un anno, quasi tutti i giorni, alla sera. Oggi – sempre nell’arco di un anno – si propongono tre, quattro eventi.
L’opera dei pupi aveva una dimensione didattica; educativa per il popolo. Era l’occasione per incontrarsi, per confrontarsi. Un modo semplice di condividere le idee. Eroi, traditori, marrani. Personaggi fantastici, mitologici, epici. Prima la mitologia greca e poi la Chanson de geste medievale; avrebbe gradito anche Italo Calvino.

Il teatro è pur sempre la rappresentazione della natura; la natura umana. Mimesis senza tempo.

Il maestro Rabuazzo, continua nel suo racconto, a margine delle prove generali. Ci sorprende per la sua tecnica e per il suo metodo. Ancora una lezione di vita. Ogni pupo è tanti pupi. Ogni pupo può servire per farne altri, tranne per i personaggi principali. Quelli sono solo quello che sono. Sembra la metafora dei comportamenti umani. Anche tra i pupi c’è differenza. Ci sono quelli che nascono Carlo Magno e muoiono Carlo Magno, poi ci sono quelli che nella loro vita, cambiano tante volte la loro identità. Chissà cosa vuol dire? Ma colpisce la passione del maestro, il suo riciclare ogni cosa, che diventa un vestito, un’armatura, una spada. Da una pentola vecchia, dal divano da buttare, dalle ciabatte; lui ricava ogni utile materiale per rendere ricchi e preziosi i suoi pupi. Quelli catanesi che non si inchinano mai, davanti a nessuno; non possono, non vogliono. Antonino Viola, scenografo e regista, è sopra lo scannoapoggio e guida con attenzione ogni scena, ogni battuta, ogni movimento. Appassiona questa visione e ci incanta la scenografia fatta di teli dipinti, che si susseguono durante lo spettacolo. Veri capolavori figurativi. Cosa c’è dietro l’opera dei pupi?

Politica, arte, artigianato, sostenibilità, cultura, memoria. C’è passione, tradizione, socialità. C’è un’idea.

E se si cominciasse a pensare ad un teatro, solo per le rappresentazioni dell’opera dei pupi? E se si cominciasse a rigenerare quest’arte, magari con l’aiuto delle scuole? Meglio essere pupi catanesi che pupazzi di stoffa senza identità e senza onore o, peggio ancora, marionette.
Manianti, parraturi e pruituri, si alzi il sipario, lo spettacolo abbia inizio, si torna a pensare.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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