Adrano, come lo ‘scafista in doppio petto blu’ voleva mettere le mani sulla Casa dei Bambini

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Il “Sistema Biondi” voleva mettere le mani sulla Casa dei Bambini “Sangiorgio Gualtieri” di Adrano e trasformarla in un centro di accoglienza per minori non accompagnati. Nel 2016, forte di una concessione di 15 anni “donata” dal Commissario regionale ad una sua cooperativa, il ras delle coop sociali Pietro Biondi, arrestato ieri dopo un’inchiesta ‘sincronica’ delle procure di Gela e Catania, era pronto a trasformare la storica “Casa dei Bambini” della Fondazione Sangiorgio Gualtieri in una struttura di accoglienza per circa 40 minori.

Siamo negli anni del governo regionale Crocetta, suo forte riferimento politico. Ad Adrano la “Casa dei Bambini” è gestita per anni dalle suore. Per lungo tempo la struttura di via Vittorio Emanuele è stato il “paradiso” di tantissimi piccoli; centinaia di famiglie la ricordano con ammirazione. Venuta meno la storica gestione delle suore, la struttura viene “concessa” dalla Regione (che controlla la Fondazione) alla cooperativa “Progetto Vita”, ieri finita sotto sequestro per ordine dei magistrati.

Ad Adrano in tanti hanno temuto, nei primi mesi del 2016, che stessero per “sbarcare” sotto il Castello Normanno centinaia di migranti. Non sapevano invece che il business sarebbe stato assai lucroso anche con un numero ridotto di giovanissimi migranti. L’amministrazione di allora, sindaco Ferrante in testa, si iscrisse d’ufficio nella lista degli ‘accoglienti’.

Che tipo di accoglienza le cooperative di Biondi riservassero ai propri ‘ospiti’, raccattando letteralmente dai cassonetti della spazzatura i materassi dismessi, lo hanno sottolineato ieri gli investigatori in conferenza stampa (con un po’ di ribrezzo a dire il vero).
A far di conto, allora, fu l’ex sindaco di Adrano, Mancuso: con un numero di 40 minori non accompagnati, 45 euro al giorno per ciascuno di loro fa un totale di 1800 euro al giorno. E cioè 54 mila euro al mese, ben 680 mila euro l’anno. Tenuto conto che il “contratto” di concessione della Regione per la cooperativa di Biondi ha una durata di 15 anni, il conto è fatto: oltre 10 milioni di euro. In cambio, la cooperativa si impegna a riconoscere un canone di 40 mila e 100 euro l’anno alla “Casa dei Bambini” e a ristrutturare l’edificio con un intervento economico di 200 mila euro.
Se tutto fosse andato per il meglio, a fronte di un impegno complessivo di poco meno di 700 mila euro, la cooperativa di Biondi avrebbe intascato almeno 10 milioni di euro. Il numero di minori, infatti, sarebbe potuto arrivare fino a 50.

ACCOGLIENZA SI’ MA DEI PROPRI INTERESSI

L’affare, per fortuna, non è mai andato in porto. Ciò che è successo in quei giorni, però, è utile a svelare l’impostura di amministratori e funzionari che, mentre accusavano gli avversari di xenofobia e razzismo, spalancavano per proprio tornaconto le porte all’imprenditore Pietro Biondi: accoglienza, sì, ma dei propri interessi.
Nella conferenza stampa di ieri, uno dei magistrati che ha condotto l’inchiesta, ha spiegato che a Gela il “Sistema Biondi” spendeva per ogni migrante la miserevole cifra di due euro e mezzo al giorno per garantire colazione, pranzo e cena: 2,5 contro i 45 euro al giorno ricevuti.

L’INFUOCATA SEDUTA CONSILIARE SUL DESTINO DELLA “CASA”

Il 4 maggio 2016 nell’aula consiliare del Comune di Adrano si tiene una infuocata seduta del Consiglio comunale. Il titolo dell’ordine del giorno è tutto un programma: Quale futuro per la Casa dei Bambini “Sangiorgio Gualtieri”.
Il sindaco Ferrante, “favorevole ad accogliere i bambini”, si fa in due per tentare di spiegare che il Comune di Adrano non c’entra con la Fondazione Sangiorgio Gualtieri. Ai presenti, l’allora primo cittadino spiega che di commissari alla Sangiorgio Gualtieri ce ne sono stati tre e che “…questa procedura è stata iniziata dal Commissario Sajeva”.
Non dice che il commissario in carica, nuovo arrivato, in una intervista ha dichiarato che “…nel giorno in cui io ritiravo il decreto di nomina qui si sottoscriveva questo contratto”. Il consigliere Carmelo Salanitro, senza tanti giri di parole, definisce l’imprenditore Pietro Biondi “uno scafista in doppio petto blu”: non immagina nemmeno lontanamente la forza premonitrice di una definizione del genere. In aula, senza temere di essere accusati di razzismo, battagliano contro il progetto finto-buonista condiviso dall’amministrazione i consiglieri Alongi, Perni e Ricca. Quest’ultimo, ormai un ex della politica locale, prende il microfono per fare una dichiarazione che in tanti, troppi, capiscono ma che – proprio per questo – preferiscono lasciare cadere nel vuoto. Prima di ripescare la sua dichiarazione dal verbale di seduta, leggete cosa hanno scritto ieri i magistrati etnei sul “metodo” adottato da Biondi e dalle altre persone coinvolte nell’inchiesta: “E’ stato creato ad opera dei predetti un sistema che, fra l’altro, si fondava sul fatto di assumere nelle varie cooperative/associazioni i parenti dei funzionari pubblici addetti al controllo del settore, creando una commistione tra controllore e controllato, circostanze dalle quali il sistema anche corruttivo traeva considerevoli vantaggi.
E ora sentiamo il consigliere Ricca:
“Io chiedo, signor Presidente, …e credo che sia importante sapere perché a questo punto mi sorgono dubbi, se qualcuno tra i miei colleghi, gli assessori, i dipendenti comunali, i funzionari abbia avuto o abbia rapporti di lavoro con questa cooperativa Progetto Vita. Credo che sia importante per stabilire se possiamo andare avanti in maniera serena e scevra da ogni condizionamento su questo tema”. Il consigliere comunale parla, in sostanza, di una ‘parentopoli’ adranita legata a doppio filo con Pietro Biondi e la cooperativa Progetto Vita. E’ la puzza del “Sistema Biondi”, due anni prima che venga smascherato dai magistrati.

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