Catania, casa di cura chiusa dai Nas: tumori “non visti” per risparmiare sugli esami clinici

Gravi malattie e tumori ignorati e non diagnosticati per risparmiare sugli esami clinici e lucrare sui rimborsi del servizio sanitario. Blitz dei Nas a Catania. Al centro delle indagini la storica casa di cura “Di Stefano Velona” con sede a piazza Roma, nel capoluogo etneo. I militari del Nucleo antisofisticazioni hanno ricostruito un’associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio e falso in atto pubblico. Tra le persone indagate gli amministratori della struttura privata Nunzio Di Stefano Velona e Ornella Maria Di Stefano Velona per cui è stata disposta l’interdizione dagli uffici direttivi e quattro medici: il direttore sanitario Sebastiano Villarà, Alfio Sciuto (sospesi per 12 mesi dalla professione), Giuseppe Adamantino e Giuseppe Renzo Roberto Calanducci (sospesi per 6 mesi). Per la Casa di Cura è stata disposta la chiusura per un anno. Il Gip ha risposto il sequestro preventivo di beni per 105 mila euro. Le indagini sono state avviate dopo la denuncia di un paziente che recatosi in clinica per tre volte per il ripresentarsi di una formazione anomala all’inguine, è stato dimesso dal sanitario senza l’esecuzione dei necessari esami diagnostici. A distanza di mesi il paziente ha scoperto di avere un tumore e seri problemi di deambulazione. L’attività investigativa ha fatto emergere una prassi consolidata tra i dirigenti, gli amministrativi e i sanitari della clinica per massimizzare i ricavi a discapito dei pazienti. Per alcune prestazioni sanitarie per le quali era previsto un rimborso da parte del Ssn, venivano omessi gli esami strumentali riducendo al minimo le spese per la clinica. Era il medico che in base al suo intuito e alla sua esperienza decideva quando fare approfondimenti clinici e quando evitare l’esame istologico. Laddove il medico, nel corso di tale arbitraria scelta, avesse optato per lo svolgimento degli approfondimenti diagnostici, sempre su disposizione dei vertici della Clinica e sempre al fine di massimizzare i profitti dell’ente, veniva richiesto al paziente (ignaro della gratuità dell’esame) il pagamento di una somma di danaro pari ad 80,00 €, trasformando, in tal modo, in una prestazione privata quello che doveva essere un esame gratuito (perché, appunto, oggetto di rimborso da parte della Regione).
Una consulenza grafologica, infine, faceva emergere come il Direttore Sanitario della Clinica, in un caso, all’atto della prestazione del consenso informato, si fosse sostituito al paziente, falsificandone la firma.
Sono state sequestrate più di 4 mila cartelle cliniche da cui sono emerse migliaia di false attestazioni mediche sulle dimissioni del paziente.

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