Primavera, non siamo più quelli di prima: la vita ‘sfogliata’ che non finisce mai

 

Ancora un’altra. L’ennesima. Siamo ossessionati dall’esigenza di creare nuove primavere o di rilanciare l’idea stessa di rinascita. Il tempo scorre, inesorabile, consumando ogni cosa.

Invecchiamo, ci logoriamo e cambiamo. Modifichiamo la nostra pelle, i pensieri, le circostanze. Siamo altro. Durante la nostra vita moriamo più volte e più volte rinasciamo, ma non siamo più quelli di prima. Poche cose, rimangono fissate a terra, Itaca per esempio o l’idea di raggiungerla (e non sempre). Tante altre scompaiono piano piano, durante il viaggio. Tutto scorre, tutto cambia, anche se abbiamo la sensazione che tutto ritorni.
Ci aggrappiamo alle ridondanze, alle ricorrenze, alle coincidenze. Sfogliamo un libro che non finisce mai.
Rimane, dentro di noi, la sensazione di essere immodificabili, di vivere una nuova primavera. Allora cerchiamo segni, apparizioni, allineamenti di pianeti e di uomini. Eppure tutto cambia.

Ci sfiora l’idea della stabilizzazione perpetua. Non è cosi. Cambiamo e si modifica ogni cosa. Ripetiamo ogni anno lo stesso campionato dell’anno precedente. Lo facciamo per sopravvivere, per prolungare il senso della rinascita. Fino a diventare prigionieri di noi stessi e delle nostre liturgie. “Non sei cambiato, sei sempre lo stesso”; sei il solito, come sempre. Non è così, siamo cambiati – sia nel corpo che nella mente – e meno male. Certo, non facciamo in tempo ad abituarci ad accettare quello che siamo che già dobbiamo guardare oltre, per trovare nuovi assetti, nuovi equilibri, persino nuovi sentieri.
“Sarò cosi per sempre”. Abbiamo inventato l’infinito perché l’altro, il finito, ci faceva paura. Abbiamo inventato l’on demand per rivedere, ogni cosa, ogni scena, per ri-vedere.

“Conservare tutto, significa non conservare nulla” (Massimo Cacciari). Qualcosa deve appartenere alla leggenda, alla mitologia, alla fantasia del narratore. Come per la Land Art, che racconta spesso un’opera con una foto, perché quella spirale di sassi sul mare non c’è più, scomparsa (la Spiral Jetty di Smithson, 1967-69). La fotografia fissa quell’istante, quel momento, con il compito di fare riaffiorare dalla memoria un gesto, un’idea, una visione. Poi la mente costruisce nuovi paesaggi e mappe culturali, che diventano metamorfosi dell’immaginario.
Oscilliamo, come un pendolo, tra l’esigenza di ricordare e rinnovare e la consapevolezza che tutto è ormai cambiato. Ci aggrappiamo – con tutto il nostro peso – alle foglie, sperando che possano – loro – sostenere la nostra esistenza.

“Tu non cambiare mai, resta come sei” – disse lui dopo averla lasciata – e invece no, io cambierò – perché l’umanità da sempre cambia, modifica ogni cosa, guarda avanti. Anche inconsapevolmente, cambia. Così recita la Treccani: cambiare v. tr. e intr. [lat. tardo cambiare, voce di origine gallica] (io càmbio, ecc.). – 1. Sostituire una persona, una cosa, con altra simile o diversa.

Sostituire, qualcosa con un’altra. Magari conservando da qualche parte la precedente parte. Quindi sostituire. Si potrebbe esercitare questa modalità nell’architettura, quando il corpo, le reti e la pelle dell’edificio non hanno motivo di essere. Anche in politica, andrebbe usata quest’azione. Sostituire un politico quando questo coltiva l’albero delle patate lesse, quando crede che si possa portare indietro il nastro – per ogni scena del film – per ri-vederlo, sperando di cambiare il finale.
Conserviamo nel cassetto una foto, di quelle dove tutti sorridono. Conserviamo tutto dentro un grande edificio di pietra, tutte le foto del mondo, quelle antiche e quelle di ieri. Mettiamo tutto dentro una grande scatola di metallo, di quelle che poi si parlano con il mondo senza fili, dove diventa facile trovare ogni cosa.
Prima che questa umanità si concentri a raccogliere i fiori dall’albero delle patate e pretenda di volare sopra le foglie, magari in una notte senza vento. Pánta rheî (tutto scorre) Eraclito.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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