Notre Dame, non prevalga il “famolo strano” per la ricostruzione: più sobrietà per la Cattedrale di Parigi

Crolla il tetto e la guglia della cattedrale di Notre Dame a Parigi. Le fiamme divorano uno dei simboli più riconosciuti della cristianità francese. La scena che si presenta a tutti gli spettatori del mondo – grazie alle TV e ai social – è apocalittica, surreale; sembra persino di essere dentro il film ‘Avengers Endgame’ della Marvell o tra le pagine del romanzo ‘Notre Dame de Paris’ di Victor Hugo. Thanos o Quasimodo, lanciano pietre, travi e piombo fuso dalla sommità della cattedrale? Non è finzione, è la cruda realtà. Un sentimento di impotenza invade il mondo, scuote la cristianità, che si raccoglie intorno alla cattedrale, in preghiera. Una scena suggestiva, straziante, mistica. Nulla è per sempre, e i catastrofisti cominciano a evocare Nostradamus e l’Apocalisse di San Giovanni. In un secondo, tornano alla mente tante storie di incendi e crolli: profezie, analogie, coincidenze e ricorrenze e il pensiero scivola fino alle Torri gemelle di New York.

Le prime indagini, scongiurano la pista dolosa e terroristica. E qui la beffa. La possibile causa è un corto circuito nel ponteggio che circondava parte della chiesa, utile per il restauro della stessa; oppure una cicca di sigaretta non spenta usata dagli operai. Una tragedia evitabile, una tragedia banale con conseguenze catastrofiche. Nello stesso tempo, altre notizie – sempre in Francia – di casi simili a quello di Notre Dame. Durante i restauri, sui ponteggi divampano gli incendi e non posso che pensare alla cupola di Santa Maria del Fiore e a Filippo Brunelleschi. Lui aveva capito, il pericolo dei ponteggi durante i lavori per realizzare la più famosa cupola del mondo, che è il simbolo della Firenze Rinascimentale. Lui sapeva e aveva posto rimedio. La storia ci insegna sempre qualcosa.

Emmanuel Macron – presidente francese – ha subito dichiarato che tutto sarà ricostruito in cinque anni, lancia una raccolta fondi e dichiara che il progetto di ricostruzione sarà scelto attraverso un concorso di architettura. E tutti abbiamo pensato al ponte Morandi di Genova. Nel senso che l’unica analogia è forse la questione tempo – cioè l’esigenza di rassicurare la popolazione, affinché subito si possa tornare alla normalità, per il resto è tutta un’altra storia. Le immagini mandate in onda incessantemente sensibilizzano l’opinione pubblica e in special modo alcuni grandi banchieri e imprenditori. Scatta la corsa alla raccolta fondi, cento milioni, duecento milioni, settecento milioni. Cifre da capogiro, messe a disposizione da privati (benestanti) in poche ore. I ricchi di Francia mettono a disposizione le proprie risorse per ricostruire il simbolo della cristianità e la chiesa che accoglie oltre dodici milioni di visitatori l’anno. Si scatenano anche polemiche, su questa immediata disponibilità di risorse economiche, ma il recupero della piena funzionalità di Notre Dame è funzionale per tanti aspetti: economici, simbolici, sociali, politici, turistici e culturali. Per un attimo, pensiamo che queste cattedrali siano comunque il frutto dello sforzo di intere comunità – tra il Medioevo e il Rinascimento – che hanno voluto elevare insieme (ognuno con le proprie forze) un monumento, simbolo della loro comunità (non importa di quale confessione). Certo, se pensiamo ai tanti monumenti sparsi per il mondo, distrutti dalla tante guerre che noi esportiamo altrove, che non vengono ricostruiti né finanziati; oppure alla lentezza per acquisire fondi, per risolvere problemi primari come la fame nel mondo e la rigenerazione delle periferie della terra; un po’ si rimane con l’amaro in bocca. Forse la ricostruzione della cattedrale di Parigi esige una maggiore sobrietà.

Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc – se fosse ancora vivo – avrebbe subito fatto un plastico e si sarebbe presentato dal sindaco di Parigi. E voglio vedere che si opponeva a tale azione d’impeto? La sua guglia – quella che abbiamo visto crollare in TV – è in questo momento l’oggetto delle attenzioni, insieme alla copertura, di molti grandi studi di architettura del mondo. Il ritornello è sempre lo stesso. Come era, dove era? Oppure dove era (almeno su questo sono tutti d’accordo) ma diversamente dal passato? Ovviamente ancora nessuno conosce le indicazioni del concorso per acquisire la proposta di ricostruzione, e già molte grandi firme internazionali propongono modelli e foto di un probabile scenario ricostruttivo. Un buon modello, o render che sia, non può che affidarsi al fascino evocativo della notte e della luce che traspare dai vetri della copertura. Vetro che nasconde serre, laboratori, musei, caffetterie e biblioteche. Tutto condito da guglie spaziali con funzioni metereologiche, ecologiche e scientifiche. Qualcuno dichiara persino che il vetro è funzionale per illuminare la cattedrale, dimenticando che grazie a Dio le volte sono ancora in piedi, pertanto il vetro non illuminerebbe l’aula ma il sottotetto.
Da dietro il coro, in fondo alla sala, una voce sussurra piano piano: “bisogna salvare il monumento, senza farsi un monumento”. Sembra un’espressione contro corrente, sembra un gesto mite e di rispetto nei confronti della fabbrica. Sappiamo così tanto di Notre Dame – disegni, documenti, fotografie, rilevi digitali ecc. – che potremmo ricostruire la copertura e la guglia, esattamente come era e imparare da ciò le vecchie tecniche costruttive. E’ una delle possibili ipotesi, non dico l’unica, ma non la scarterei sull’onda delle sollecitazioni che provengono dai social, che hanno bisogno di foto affascinanti e ammalianti, condite da nomi famosi. Certo è che il sotto tetto potrebbe trovare nuova funzione, magari essere il luogo espositivo che mostra se stesso e la sua armatura strutturale. Un atlante di sezioni tecnologiche che spiegano la natura della copertura e della guglia. Sarà interessante vedere le tante proposte, invece che una già confezionata ad arte. L’importante è che non prevalga il “famolo strano”. Vediamo se la Francia risponde alle aspettative e traccia la strada per altre possibili ricostruzioni di ruderi e rovine. La partita è aperta.
Per adesso non ci rimane che l’immagine di tanti fedeli che pregano intorno alla loro cattedrale. Ci rimane il senso della comunità che si raccoglie per strada, per dichiarare la propria identità. La voglia di ricominciare, di esserci, di ripartire.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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