Siamo tutti figli di una mamma: lode alle portatrici di vita

L’origine della Festa della Mamma è relativamente recente, risale agli anni ’50, in Italia In molti paesi del mondo si festeggia, più o meno, nel mese di maggio oppure a marzo. Fu promossa, per la prima volta, all’interno di una fiera floreale ligure e quasi in contemporanea da un parroco umbro. Anche in epoca fascista si teneva una festa simile; in America è un’attivista ambientalista che la propone per commemorare la propria madre. Nei paesi arabi viene festeggiata a marzo e in molti casi collegata con l’equinozio di primavera, il 21 marzo.

A dire il vero, ci sarebbe anche la festa del papà, dei nonni, dei fratelli ecc. ecc. Ma la Festa della Mamma è sempre percepita come la più attesa. Come tutte le ricorrenze si trasforma spesso in un evento commerciale, dove è d’obbligo il regalo: fiori, gioielli, cioccolatini. In tutte le scuole dell’infanzia, le settimane che precedono la seconda domenica di maggio sono impegnate a realizzare oggetti e poesie dedicate a tutte le mamme. Per i figli più grandi le cose si complicano, meglio il fioraio sotto casa, sempre pronto a risolvere ogni problema di memoria.

Le mamme sono madri. Portatrici di vita. Generatori di umanità. Culla primordiale. Esistono anche quando non sono visibili, sentono anche quando nessuno parla. Tessono, tramano, governano ogni passo della nostra vita, persino quando non ci sono più. Le mamme sono un’idea, un principio, un esempio. Sono il morbido cuscino dove posiamo il capo, sono lo scudo che ripara dalle frecce, sono le frecce che uccidono il nemico. Sono il ricordo che non muore ai.
Molti figli non hanno mai visto le proprie madri e le hanno viste per poco. Non importa, rimane indelebile la loro presenza, anche come percezione di un vuoto. E ogni cultura ha pensato bene di costruire un’immagine universale di madre: la Madonna, le sante, le profetesse, le sacerdotesse; non importa chi e come. Ci sono anche le madri tiranne e spietate delle tragedie greche, che rappresentano una piega dell’animo umano, un aspetto terribile di quel rapporto intimo tra madri e figli.

Recentemente ho compreso – attraverso la consapevolezza del dolore di alcune mamme che hanno perso i loro figli, – che la madre diventa l’unico custode della memoria, baluardo perenne a difesa di un figlio. Voglio ricordare con modalità diverse queste donne coraggio che oggi non riceveranno nessun fiore: Lucia Zappalà, Daniela Rocco e Vera Squatrito. Per colpa della casualità, della superficialità e della mostruosità, queste madri sono state private dei fiori che meritavano nella loro festa. Commuove la percezione del loro dolore infinito che è diventato impegno sociale e letterario. Una lezione che solo le madri sanno dare.

Ma ci sono altre madri che nel silenzio della loro vita soffrono perché i propri figli sono lontani, partiti per terre brulle e fredde e oggi aspettano una telefonata, un messaggio, un segno della loro presenza. Ci sono le madri che non vedranno per molto tempo i loro figli: per lavoro, per costrizione, perché chiusi in una cella, perché in altri continenti, perché la natura li ha privati di questo dono. Le madri che non sono mai diventate madri, quelle che a cui la natura ha rubato la gioia più grande, la maternità. Quelle donne sono comunque madri e oggi meriterebbero un fiore come tutte.

Essere madri significa essere donne, portatrici di vita. Oggi più che mai ci siamo rivolti alla madre per eccellenza. Quella Maria che tanti secoli fa ha vissuto la completezza della dimensione di madre: terrena e spirituale. Non posso che non ricordare “la primavera” del Botticelli per evidenziare la centralità della Venere-Madonna come cerniera principale tra l’amore divino e l’amore terreno. Non a caso l’opera s’intitola “la primavera”, quindi portatrice di vita.

Non importa come viene percepita e chiamata la Madonna nelle altre culture e confessioni. Quello che importa è che la donna-madre è centrale nella vita dell’umanità. Non importa se è con noi o altrove, quello che importa è che esiste un’idea dentro di noi della sua presenza. Un uomo o una donna senza “madre” senza avere almeno l’idea della madre non ha umanità, non percepisce il dolore della morte ed è esso stesso portatore di morte.
Ogni uomo ha una madre, ogni donna ha una madre, ogni figlio o figlia – ogni essere vivente – ha una madre.

Quando eravamo piccoli, in questo giorno, recitavamo una poesia a nostra madre, regalavamo un piccolo oggetto fatto con le nostre mani, guidati da quella “Maestra” che sembrava una madre anche lei. Oggi regaliamo un pensiero a tutte le mamme, che hanno vissuto per generare, crescere e proteggere le nostre vite. A tutte le mamme che non hanno generato ma che sono ugualmente mamme. A tutte le mamme che hanno abbandonato i loro figli per mille ragioni, ma che rimangono presenti nella memoria. A tutte le mamme che non hanno capito, che si sono perse, anche a loro dedichiamo un pensiero, tornate ad essere mamme. “Donna, se’ tanto grande e tanto vali, | che qual vuol grazia e a te non ricorre | sua disianza vuol volar senz’ali. (Dante Alighieri)

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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