Paternò, la collina di San Marco bruciata dai ladri di memoria: latitante chi doveva tutelarla

L’oscurità ha già coperto la collina di San Marco, quello spazio che lambisce le “salinelle” e la città di ponente.

Un paesaggio immaginifico, che racchiude tesori, ancora tutti da scoprire. La Soprintendenza di Catania lo esplora ormai da diversi anni e i reperti raccolti vanno dalla Preistoria sino al Medioevo, passando per l’epoca Greco-Romana. Un atlante di storia; una terrazza verso l’acropoli e il Simeto; un luogo sacro agli Dei. Un luogo in cui il fuoco e l’acqua coesistono magicamente; forse una delle tante porte dell’Ade.

Una collina che appare inghiottita dalla notte ma emerge all’improvviso per il fuoco che ieri l’ha divorata.

Un fuoco devastante che ha una matrice dolosa. Subito i Vigili del Fuoco, i giornalisti e i volontari, sono accorsi al suo capezzale. Una collina ferita e inaccessibile, difficilmente raggiungibile dai mezzi di soccorso, che mette alla prova la tenacia degli uomini del corpo dei Vigili del Fuoco di Adrano, mentre quelli della stazione locale sono impegnati a mettere le toppe a un centro storico che cade a pezzi.

Sembra l’incendio di pochi balordi ma sappiamo benissimo cosa nasconde questo gesto folle.

L’esigenza di ripulire le aree (nascoste alla vista) che saranno scavate dai ladri di memoria. I ladri della storia, professionisti che desiderano operare di notte, dopo aver ripulito i terreni di scavo e non è la prima volta: proprio l’anno scorso – sempre a giugno – avveniva la stessa cosa sull’acropoli, sul suo versante di nord-ovest. Ormai è una tradizione a cui nessuno pone rimedio e attenzione.

E’ la prova che chi poteva o doveva pianificare e programmare interventi di tutela e valorizzazione è stato latitante.

Lo è da molti decenni e poco serve lo sforzo di chi ancora esplora, studia e ricerca. Eppure la collina – per come è configurata – è il luogo ideale per realizzare un parco sub-urbano. Collocato ai margini della città costruita, è adiacente all’acropoli, all’area sportiva, al sistema dei mulini e alla stazione ferroviaria di San Marco. Un possibile parco archeologico-naturalistico che costituisce una cerniera tra la città e la campagna. Un’opportunità per rilanciare la città – finalmente – in chiave positiva.
Serve coinvolgere i privati in questo processo di rigenerazione, offrendo delle opportunità di redditività compatibili con l’interesse collettivo. Serve mettere mano a un progetto dell’intera area – urbana e rurale – se vogliamo recuperare le periferie seriamente, evitando demagogiche soluzioni.
Serve – come al solito – una visione. Forse è proprio quella che manca, in questi ultimi tempi di spettacolarizzazione della politica in chiave mistica.

Intanto, l’erba e gli alberi sono stati bruciati, l’ennesimo danno all’ambiente e alla storia.

Restiamo in silenzio senza che nessuno rialzi la testa. Quella città che si dichiara impegnata sul fronte della sicurezza e dell’ambiente – sulla carta – continua a stare chiusa nelle stanze dei propri palazzi, comodamente. In fin dei conti era solo un incendio, sulla collina dei segreti. Le terme, i monasteri, le capanne e tanto altro sono solo sciocchezze senza valore (per tanti).

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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