Il viaggio come esplorazione: trovare tracce della costellazione divina sulla terra

Cosa ci porta in alcuni luoghi non è facile saperlo. Forse, il desiderio di appartenere a quella terra, di conoscere la nostra storia, di sentirne il battito. Si arriva spesso per caso, dopo un errore, spinti da una frenesia. Si arriva sapendo che bisogna ripartire, sapendo che nulla ci appartiene. Le zolle bagnate, sporcano le scarpe, consumate dal viaggio, dentro un sentiero pieno di sassi.
Le colline, morbide ed erbose, si svelano piano piano; per mostrare, al nostro sguardo, altre colline: un cipresso, un faggio, un canneto, una rovina. Le colline si parlano; rimbalzando le forme, fino a raggiungere il fiume; lontano verso la valle, coperta di nebbia, di un sottile strato di nuvole bianche. Salire verso qualcosa, di cui non si conosce la natura. salire verso una meta, solo immaginata. Salire verso una vetta, che nasconda una chiesa, un rudere, una traccia a terra di un culto antico. Si misura la distanza, si contano i passi, si guarda il sole. I nostri compagni di viaggio diventano piccoli, sempre più piccoli, fino a scomparire dietro un muro, una siepe, un casolare. Allora il passo aumenta, diventa nervoso e quella figura sullo sfondo, diventa un mirino da puntare e le scarpe affondano nella terra bagnata e la collina sembra essere clemente e accogliente.

Adesso, la sorpresa, lo stupore. Pietre squadrate, allineate, secondo un disegno preciso. Orientate, verso il sole che nasce e verso il sole che muore. Lo sguardo si fa vorace, indagatore, ossessivo. Cerca le corrispondenze, cerca nella memoria, nei ricordi, negli studi: un’analogia, una somiglianza. Il nartece, le navate, l’abside, tutto corrisponde. Lo sguardo invade l’orizzonte, cerca fuochi, allineamenti, relazioni. Le mani sfiorano le pietre, le bucature, le parti. Sfiorano la superficie aspra della roccia, addomesticata dall’uomo. Il corpo di entrambi entra nello spazio, lo percorre da parte a parte, lo sovrasta, lo attraversa, lo conquista. Scivola lungo un muro fino a fermarsi nella curva di oriente che accoglieva un cristo pantocratore. Uno stupore, che ci rende piccole presenze dentro un cosmo infinito. Le rovine antiche sono comunque un messaggio, una traccia per capire la mappa che ci porterà lontano, lungo un pellegrinaggio verso la Terra Santa, verso Roma.

Questa chiesa non è un punto. Non rappresenta un’anomalia. Questo luogo è uno dei nodi di un percorso più ampio e complesso. Una sosta nel tracciato della Fabaria. Un rifugio, un faro, un momento di preghiera. Dentro un paesaggio di campagne, di fabbriche antiche e di tracciati segnati dalla natura.
Sullo sfondo, le pecore al pascolo e il suono delle loro campane; sullo sfondo un cielo terso, una palma, un gruppo di case ormai dirute. Una piccola città, minima ed essenziale. Un cortile, una scalinata, un magazzino. Poi un canneto, un oliveto, un recinto. Le zolle bagnate, l’aria intensa del mattino.
Dentro questo luogo, c’è un mondo da scoprire. Una storia da scrivere. Si sentono i rumori di un tempo: le mucche, le pecore, i maiali; le donne e gli uomini che lavorano e lo schiamazzo dei bambini. Si sentono le voci della terra, la preghiera dei monaci e le domande dei pellegrini.
Seduto sui gradini della corte osservo le pietre, gli alberi, le colline. Sento il passato che riecheggia, l’acqua che scorre, l’orizzonte che attrae, il silenzio che avvolge. Dentro questo luogo, si ritrova il senso del pellegrinaggio, del viaggio.
Una chiesa, un ruscello, le case, il sentiero, l’orizzonte e i suoni della vita. Il pellegrino può continuare il suo viaggio, sazio di preghiera e stupore. L’Etna, lontana, ci osserva indicandoci una possibile meta. Non rimane che disegnare queste cose, prendere appunti per l’anima, costruire una nuova mappa della memoria. Nessuna parola, nessuna espressione, solo sguardi. L’intensità dell’attimo plasma i ricordi dentro ognuno di noi. Forse è questo il vero significato del viaggio: sia esso, verso una città, sia esso, verso un’idea. Un viaggio come esplorazione, dentro i morbidi ricordi dell’antichità. Alla ricerca della nostra identità. Perché spesso i misteri sono solo delle verità difficili da spiegare e piano piano tutto emerge. Basta trovare le tracce della costellazione divina sulla terra.
Nelle pietre e nelle opere di uomini, consapevoli del valore dell’orientamento verso qualcosa, verso qualcuno, verso il sole e verso la luna. Verso il divino.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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