Belpasso, Cassazione conferma sentenza d’appello per omicidio Caponnetto: Comune dovrà essere risarcito

Il Comune di Belpasso, costituitosi parte civile nel processo per l’omicidio dell’imprenditore agrumicolo Fortunato Caponnetto, ha ottenuto la conferma della sentenza di secondo grado, emessa dalla Corte di Assise di Appello di Catania, e per effetto anche la conferma delle statuizioni civili. La Corte di Cassazione, infatti, ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dagli imputati, alcuni divenuti nelle more del processo collaboratori di giustizia e ha confermato, dunque, che il comune di Belpasso andrà risarcito per il danno di immagine nella misura di 30 mila euro più le spese legali.

Il Giudice di primo grado aveva ritenuto il comune belpassese l’unica parte offesa da tutelare rispetto ad altri che avevano fatto richiesta di costituzione di parte civile. A rappresentare il Comune in Cassazione l’avvocato Ignazio Danzuso.

Gli amministratori belpassesi hanno reso necessaria la costituzione di parte civile in tutti i gradi di giudizio al fine di difendere e tutelare il buon nome e la volontà di riscatto di immagine e morale del Comune. “Questa azione giudiziaria – ha specificato il sindaco Daniele Motta – in un processo penale è una scelta doverosa nei confronti dei nostri concittadini al fine di garantire la predominanza della legalità nel nostro territorio. Riteniamo che questa debba essere una strada che ormai tutte le amministrazioni devono intraprendere.”

Nell’aprile del 2015 l’imprenditore paternese Fortunato Caponnetto scompare nel nulla subito dopo essersi incontrato con Carmelo Navarria, ex uomo di fiducia a disposizione di Giuseppe Pulvirenti “U Malpassotu”, noto criminale in forza al braccio armato di Nitto Santapaola, scarcerato dopo ventisei anni e mezzo di reclusione per sei omicidi. Una volta libero Navarria si è messo subito al comando di un “gruppo”, alle dirette dipendenze di Francesco Santapaola, pro-cugino di Nitto Santapaola. L’incontro con Navarria avvenne presso la villa in costruzione di quest’ultimo. Caponnetto, da quanto ricostruito dai carabinieri anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, venne dapprima picchiato, poi strangolato con il metodo della “garrota” e il suo cadavere venne dato alle fiamme dentro una pila di pneumatici. Secondo i carabinieri il movente sarebbe da addebitare al fatto che Caponnetto avesse prima dato e poi negato l’assenso ad assumere Navarria presso la propria azienda, preferendogli poi un presunto appartenente ad altra organizzazione mafiosa. Caponnetto avrebbe licenziato la moglie di Navarria, imposta con la forza tempo addietro, e avrebbe infine creato dissidi con appartenenti ad un’altra cosca per un debito che un suo parente aveva contratto con questi ultimi e di cui Navarria si sarebbe fatto garante.

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