Paternò non riparte dalla Cultura e si ‘muove ferma’: nessuna programmazione e zero investimenti

Salinelle e Castello Normanno Paternò

Riaprono in tutta la Sicilia le aree archeologiche, i musei, i percorsi naturalistici.

«L’immenso patrimonio culturale della Sicilia, oggi più che mai, può costituire uno straordinario biglietto da visita, in grado di far scoprire a tutti, i tesori di cui la nostra isola è custode… Un nuovo corso. Dopo lo stop dovuto al Covid, i luoghi di millenaria tradizione riaprono in sicurezza, mediante sistemi di prenotazione online per garantire accessi controllati…Si riparte dalla cultura.»

Sono le dichiarazioni apparse in questi giorni sul Corriere del Mezzogiorno, a firma di Alberto Samonà, neo assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana della Regione Siciliana.

Si riparte dalla cultura. Si riaprono i luoghi della memoria, gli spazi culturali. Musei, pinacoteche, aree archeologiche, teatri e cinema all’aperto, sentieri in mezzo alla natura, collezioni pubbliche e private, mostre ed eventi. Il più importante settore produttivo del nostro Paese e della Sicilia riaccende i motori, prova a uscire da questa crisi asfissiante che ha scosso l’intera economia.

Si riparte dalla cultura, lo si capisce dalle dichiarazioni dei tanti direttori di musei regionali e nazionali, lo si capisce dalle politiche di sostegno che si stanno mettendo in campo. Lo si capisce dalla voglia di trovare nuove soluzioni, per fruire del più grande patrimonio culturale e naturale del mondo. Nelle grandi città, nei piccoli borghi, lungo i cammini storici. Ovunque è un passaparola che contagia tutti e riaccende l’entusiasmo, perché gli uomini hanno bisogno dell’arte e della cultura per essere felici.

Ma tutta questa vivacità si percepisce ovunque, tranne che a Paternò. In questa città non aprirà nessun museo, nessun parco archeologico, nessuna pinacoteca, nessun teatro. Niente di niente, anche perché tutto era chiuso già prima del Covid-19. La città, da quindici anni almeno, non investe sul piano strutturale e infrastrutturale nel settore dei beni culturali. Qualche progetto nel passato, tentativi sporadici ed occasionali. Fuori da ogni possibile circuito regionale e nazionale. Ogni tanto un evento effimero e fumoso, di quelli che ubriacano una sera e poi scompaiono per sempre. Nessuna programmazione, nessun piano e una completa assenza d’identità; una città che non riesce nemmeno a decidersi sul suo nome nell’antichità.

Una città dalle grandi potenzialità, ricca di testimonianze emerse e sommerse. Una città con una storia straordinaria e misteriosa. Una città che parla al femminile da sempre con dee, regine, principesse, sante e madonne; una città che preferisce nascondere se stessa, per “ammucciari” ogni cosa, persino le cose più preziose, oppure tenerle chiuse. Una città che ha un piccolo museo archeologico con annesso un deposito che tiene chiuso senza che preveda nemmeno l’ampliamento e l’apertura. Una città che avrebbe un museo della civiltà contadina occupato da un canile e che a breve sarà ristrutturato e attrezzato, ma chissà per cosa e per chi. Una città che dice di avere un museo dei cantastorie ma che in verità non esiste o un Palazzo delle Arti (sembra quasi uno scherzo a chiamarlo delle arti) chiuso; in parte non agibile, pieno di roba che ormai è obsoleta da anni.

Ma questa è una città che può sorprenderci, perché non basta non avere musei o averli chiusi. Una città che possiede un’acropoli ricca di giacimenti archeologici sepolti e l’unico visibile è una discarica a cielo aperto. Un’acropoli ricca di monumenti chiusi, decadenti, inutilizzabili, privi di attrezzature. Un’acropoli senza controllo, priva di un sistema di video sorveglianza, priva di servizi igienici adeguati, irraggiungibile, inaccessibile, fuori controllo, in balia di vandali, tombaroli e satanisti. Ma non basta, questa città ha un fenomeno vulcanico che si chiama Salinelle – straordinario e affascinante, portatore di antiche storie e forse l’anima sacra della città – ma circondato da metastasi urbane, che sono la cornice di uno spazio naturalistico straordinario.

PaternòE che dire dell’acquedotto romano e del convento di Santa Maria la Scala? Di bella Cortina e del fiume Simeto? Una catastrofe, tutto abbandonato, chiuso, degradato, inquinato, invaso da rifiuti, dall’indifferenza e da brutte case di cemento.

Forse può sembrare una fotografia troppo cruda e spietata. Ma è proprio così e se non guardiamo in faccia la realtà, riusciremo ad abituarci alla bruttezza fino a farla diventare finta bellezza (Peppino Impastato)
Che fare? Ci arrendiamo? Si riparte dalla cultura. Allora ripartiamo. Ripartiamo da zero, ma ripartiamo.

Nuove politiche culturali, visione di sistema, rete delle strutture museali, lavoro sinergico con le associazioni per gestire i luoghi abbandonati. Non ci possiamo più permettere di far finta di niente e di affidarci all’improvvisazione. Vivere o morire.

Dobbiamo cambiare passo, uomini e metodi. Dobbiamo progettare e pianificare a medio e lungo termine, l’uso intelligente del patrimonio culturale e ambientale. Dobbiamo uscire dalla logica del recinto e pensare ad una costellazione di luoghi della cultura governati e gestiti da persone competenti. Immaginiamo una regia unica e direttori adeguati per ogni spazio.

La politica deve prendere una decisione: o continuare con i rapporti amicali (i risultati sono, evidentemente, sotto gli occhi di tutti) oppure avviare una nuova stagione.

La politica non può declinare l’invito, se non vuole essere complice di questa catastrofe. A Paternò, dopo il Covid-19 non aprirà nulla, nessun museo, nessuna pinacoteca, nessun teatro, nessuna area archeologica.
Perché? Siamo forse a Culonia? Se solo conoscessimo la nostra storia, il nostro vero nome, saremmo una città felice. Ripartiamo dalla cultura, ma ripartiamo.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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