Il tempo e il bisogno di lentezza dell’uomo: far buone cose anziché farne tante

Il tempo e il bisogno di lentezza dell’uomo: far buone cose anziché farne tante

Il tempo, il suo ritmo. Un dio che non perdona, inesorabile, cinico e ossessivo. Nessun ripensamento, solo un lento fluire verso l’infinito.

Lo misuriamo da quando esistiamo, attraverso quella natura che sembra sottostare ai suoi ordini. Il sole, la luna, gli alberi e lo stesso Uomo che invecchia come ogni essere vivente.

Non tutti con lo stesso tempo, con lo stesso ritmo. Il tempo elargisce infinite modalità agli esseri viventi e alle pietre. L’uomo è l’istante tra due eternità, quella passata e quella futura, in mezzo uno spazio infinitamente piccolo, dentro il quale ci sembra di capire il mistero dell’universo e la consapevolezza della nostra stessa esistenza.

Su questa idea abbiamo costruito la nostra dimensione trascendente.

L’umanità ha misurato ogni cosa, per orientarsi, per pianificare, per raccontare la sua stessa storia. Ha inventato strumenti, stratificato memorie, disegnato simboli, sempre per narrare il tempo, il suo scorrere verso l’ignoto.

Ogni giorno, guardiamo sempre di più l’orologio. Osserviamo il passare del tempo e lo confrontiamo al tempo degli altri. La durata della nostra esistenza, il tempo dell’amore, l’intervallo tra le cose, la durata di un evento, lo spazio che intercorre tra la tristezza e la felicità. Sempre alla ricerca del tempo giusto, perché misuriamo per capire il futuro. Lo facciamo tentando di carpire i segreti di Dio.

I capelli diventano bianchi, la pelle svela le sue rughe, lo sguardo si spegne piano piano. L’uomo smette di respirare, all’improvviso, come se fosse scaduto il tempo. Gli anelli dell’albero si moltiplicano sempre di più, espandendo la sua forma, per un tempo che sembra infinito ma che infinito non è. La zanzara vive un istante, per l’uomo e per l’albero è molto di meno. Il tempo sembra relativo.

Andare per i sentieri sulla montagna, ci impegna un tempo lungo, ridiscendere o ripercorrere quei sentieri ci appare un tempo breve. Eppure lo spazio è identico ma la percezione del tempo è differente.

Percorrere una strada all’andata sembra più distante di ripercorrerla al ritorno, anche se sappiamo che la distanza è identica.

Aspettare qualcuno, aspettare qualcosa: aspettare. I monaci, dopo aver sentito il campanaccio all’ingresso del convento, di chi desidera entrare in quel paradiso di tempo misurato, lasciano che il tempo passi, aspettano prima di aprire al pellegrino, aspettano perché l’attesa è preghiera.

Si mangia velocemente, fast food. La società si divide sempre più in fast o slow. Veloce o lento. Il tempo è il vero protagonista. Quel computer è veloce, quella procedura è lenta.

La macchina è più veloce, la carrozza è più lenta e qui si consuma l’equivoco di fondo. Abbiamo per troppo tempo pensato (dalla prima macchina a vapore) che l’innovazione è connessa alla maggiore velocità e la lentezza all’arretratezza. Tutto quello che è veloce è moderno, quello che è lento è antico. Una lettera scritta a mano e inviata per posta oppure una mail?
Anche se dobbiamo dire qualcosa resiste ancora come la pasta, che ha bisogno della cottura lenta come il ragù della nonna, altri tempi e altro tempo. poi arrivò il Bimby e qualcosa cambiò.

Vogliamo tutto subito. Come una corsa sfrenata a chi arriva primo. Chi brucia il tempo, mentre il tempo è sempre lui, inesorabile. Vogliamo fare più cose a parità di tempo, non vogliamo perdere tempo, evitiamo il tempo perso. L’uomo e la tartaruga hanno lo stesso tempo? (e qui la filosofia avrebbe di che dire). La zanzara e il leone hanno lo stesso tempo? La pietra e l’albero misurano lo stesso tempo?

Quando si muore, sembra che qualcuno abbia rubato il tempo che restava. C’è la sensazione che bisognava fare ancora qualcosa, per sé e per qualcuno. Abbiamo la sensazione che il tempo è nostro e che sia infinito.

Il tempo è ritmo e se guardiamo oltre il nostro naso non è nemmeno costante. L’universo ci regala altre leggi, che sconvolgerebbero la nostra rassicurante visione del tempo, come lineare e sequenziale.

Forse è una curva e non una linea. Forse è l’ultima trovata di Dio, o forse è il tempo che gioca con la nostra dimensione finita. Prima o poi avremmo la macchina del tempo e allora andremo avanti e indietro nel tempo…

Una cosa è certa, l’uomo ha bisogno di lentezza, o meglio anche di lentezza. Perché rischia di diventare una mosca invece che un albero. Noi dobbiamo fare i conti con la misura del tempo, con il suo fluire.

Abbiamo fatto tante cose nel tempo concesso o abbiamo fatto buone cose? L’uomo si confronta con tutto quello che lo circonda. Un cane che vive meno di un uomo, un albero che vive più di un uomo, un monumento che va oltre il tempo o una mosca che sembra non avere tempo e il sole che sembra coincidere con lo stesso Dio.

Rimaniamo increduli e stupiti, pensando che possiamo solo misurare il suo lento divenire. Possiamo solo raccontare le sue evoluzioni nella storia, possiamo solo rallentare o accelerare la sua percezione, non oltre.

Tardi, presto, adesso, dopo, prima. Siamo in ritardo o in orario. Tutto in funzione del tempo e delle sue scadenze. Oltre il tempo, ma quale tempo, di chi? Lento e veloce sono gli attributi più in uso.

Abbiamo sempre misurato il tempo? Sì, lo abbiamo sempre fatto e lo faremo ancora. Anche adesso, è quasi scaduto il tempo per la scrittura e per la vostra lettura.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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