Ex Stazione San Marco di Paternò: il progetto calato dall’alto e l’occasione perduta

Ex Stazione San Marco di Paternò: il progetto calato dall’alto e l’occasione perduta

Ci siamo soffermati – anche con approfondimenti – sull’opportunità di riflettere sul futuro della stazione di San Marco a Paternò e sulla necessità di un confronto pubblico tra tutte le parti. In questi giorni a Catania si evoca – per un progetto di rigenerazione urbana – il diritto alla partecipazione.

Si parla di concorsi d’idee, di confronti con la politica, le associazioni, gli abitanti, le professioni e tanto altro. Una forte presa di posizione di soggetti che storicamente e coerentemente ai propri principi di sempre si battono per un “modus” che ritengono indispensabile per trasformare il territorio. Ho qualche dubbio, non tanto sul termine “partecipazione” ma sul modo con cui alcuni la esercitano.

Ma veniamo a noi.

Sulla stazione di San Marco a Paternò e sul progetto di riqualificazione, la cui genesi è a dir poco imbarazzante, ci sarebbe da riprendere le fila del discorso anche perché, la stampa, ci racconta della liquidazione della parcella di circa ottantamila euro per un’opera che difficilmente sarà mai realizzata.

Quando si dice un progetto calato dall’alto, nascosto dentro i cassetti, esitato in un lampo e farcito di partecipazioni sulla carta. Se il presidente Nello Musumeci sapesse di tutto questo, troverebbe illogico il comportamento di una certa area culturale catanese che sbraita per la mancanza di un concorso d’idee e del coinvolgimento della città nelle scelte urbane. Ma grazie a Dio, il presidente e il sindaco della città metropolitana non ne sa nulla. Meno male.

Vediamo se riusciamo a ricomporre i pezzi di questo puzzle.

Ex Stazione San Marco di Paternò: il progetto calato dall’alto e l’occasione perdutaLa stazione è della Rfi (Rete ferroviaria italiana) ed è collocata all’interno di una rete che collega la stazione di Bicocca con Paternò, passando per il nodo di Motta. In parte è in disuso e in parte è dismessa (dopo Paternò). All’interno delle politiche di rigenerazione della regione Sicilia delle linee ferrate storiche con vocazione commerciale, essa poteva essere ripresa, potenziata, recuperata e diventare la direttrice di mobilità tra Catania, Paternò e le aree interne. Il suo recupero era giustificato sia da ragioni commerciali che storiche. Tra l’altro la linea in questione si collega al porto, all’aeroporto, alla stazione di Catania, passando per il nodo Bicocca-Motta, attraversa la zona industriale di Paternò, l’area artigianale, sfiora l’acropoli antica e colleziona pregevoli stazioni lungo il suo percorso fino appunto a San Marco e successivamente quella di Schettino.

Da quest’ultima stazione in poi – nel tempo – è solo il cadavere di una ferrovia testimonianza di un’occasione persa per arrivare a Regalbuto, Assoro e Troina: se lo sapessero quelle comunità salterebbero dalla sedia, considerato il loro isolamento. Ma a tutti è stata presentata come una poesia, un inno alla sostenibilità, un decadimento inevitabile, giustificato da ragioni faziose e strumentali. Ricordo a tutti che siamo riusciti a sbarcare sulla luna, quindi siamo capaci di fare qualunque cosa.

Certamente chi di dovere ha costruito una specie di partecipazione funzionale e strumentale, di quelle che sulla carta sono aperte a ogni soluzione ma nella realtà sono blindate. Non sono serviti a nulla gli appelli, le dichiarazioni, le sollecitazioni, a nulla. La risposta era sempre la stessa:

Ex Stazione San Marco di Paternò: il progetto calato dall’alto e l’occasione perdutaDio lo vuole, la valle lo vuole. Il problema è che né Dio né la valle sapevano alcunché delle altre ipotesi, perché i confronti erano, come dire, blindati. Forse il presidente Nello Musumeci doveva informarsi su queste strategie di partecipazione circoscritta. Sono efficaci, e basta, uno o due accademici per dare la benedizione ‘urbi et orbi’.

La politica in questo caso è stata assente, passiva, quasi in imbarazzo. Ha subito senza fiatare, con la promessa di chissà quale utilità per la collettività. In pratica nessuna utilità, solo costi, visto che le utenze della stazione sono a carico del bilancio comunale almeno fino a poco tempo fa e l’uso è di privati, la cui legittimità d’uso è da dimostrare. Organizzare qualche evento culturale dentro la struttura non giustifica l’anomalia del sistema, serve solo a farcire il pacco.

Allora per completare l’opera, un edificio della Rfi partecipa a un bando sulle periferie pur essendo in area rurale (ferroviaria, per essere precisi) e viene calato dall’alto nel contenitore dei progetti della città metropolitana con un bando pubblico del tipo lampo-stampo, con consegna degli elaborati esecutivi quasi alla velocità della luce, manco fossero già pronti.

Ma tutti sappiamo che alla fine della corsa, il progetto non poteva essere finanziato per mancanza di requisiti tecnici (area rurale e non urbana) e poi come si può recuperare un manufatto di 400 mq con più di due milioni di euro? Nemmeno la casa di Saddam Hussein sarebbe costata tanto, compresi i rubinetti d’oro. Rimane irrisolta la questione della partecipazione. La tanto sbandierata partecipazione dal basso, troppo dal basso, che ora appare discutibile e strumentale.

Se si fosse fatto un concorso d’idee? Se si fosse fatto un convegno in cui si presentavano le diverse strategie per l’intera linea? Se si fosse preso atto di due tesi di laurea su tre – autorevoli – che hanno dimostrato che era meglio recuperare l’operatività della linea ferrata? Se si fosse organizzato un incontro con i sindaci delle aree interne per presentare un’alternativa a quella proposta dai sacerdoti della valle? Se la città avesse avuto più coraggio nei confronti di chi costruiva fumose ipotesi incensate dagli stessi intellettuali che oggi urlano allo scandalo per il caso Santa Marta? Se la politica avesse ascoltato le parti e non la parte?

Ex Stazione San Marco di Paternò: il progetto calato dall’alto e l’occasione perdutaSiamo ancora in tempo, certo 80.000 euro sembrano un po’ troppi per un progetto fantasma, privo di un concorso d’idee e della partecipazione vera, visto che le scelte progettuali sono ad oggi misteriche e calate dall’alto.

Alcuni Consiglieri comunali hanno deciso di vederci chiaro, il sindaco ha il dovere di vederci chiaro e anche il sindaco della città Metropolitana ha lo stesso dovere.

Serve vederci chiaro, magari abbiamo preso un abbaglio ma rimane il dubbio che quei soldi potessero essere spesi per le periferie vere, magari quella delle Salinelle, magari con un concorso d’idee. Visto che a qualcuno piace tanto ma solo a casa degli altri.

Un’ultima riflessione: le strategie urbane per questa città meritano un luogo da condividere e l’Urban center è la strada da perseguire, per esercitare con pari opportunità la vera partecipazione, senza fanatismi ideologici e ascoltando tutte le parti e non solo i “compagnetti di merenda”.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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