La Carta di Catania: i pregiudizi politici contro un manifesto culturale nato dalla partecipazione

La Carta di Catania: i pregiudizi politici contro un manifesto culturale nato dalla partecipazione

Sulla “Carta di Catania” si susseguono freneticamente, tra carta stampata e social, gli interventi di studiosi, politici, esperti e operatori dei beni culturali. In particolare il mondo dell’archeologia – sia quella istituzionale che quella afferente alle associazioni di settore – si interroga sull’opportunità di sostenere questo manifesto culturale o cestinarlo irrevocabilmente.

Il tema proposto dalla Carta di Catania è quello della gestione dei “depositi” che attualmente ospitano – nelle segrete stanze – enormi collezioni di reperti archeologici, artistici e più in generale di testimonianze storiche di civiltà. Un patrimonio che si è accumulato nel tempo e che spesso non ha ricevuto le giuste attenzioni per tanti motivi, qualche volta legittimi e qualche volta no.

Le poche risorse umane e finanziarie che negli anni sono state impegnate per la valorizzazione dei depositi hanno amplificato le criticità, sottraendo alla collettività la possibilità di fruire di questi preziosi oggetti, spesso estirpati dai loro siti di origine, chiusi in casse di legno, accatastate dentro luoghi inaccessibili, anche agli studiosi.

Questa condizione – ormai patologica – è riconosciuta universalmente da tutti e da sempre. Nessuno può far finta di non sapere e nessuno può addebitare tutto questo all’ultimo politico al governo. La politica, il mondo accademico, le associazioni, le istituzioni, hanno saputo e hanno taciuto per anni. I depositi sono diventati un territorio privato, a tutto vantaggio di pochi che lo hanno esplorato a discrezione, aprendo e chiudendo le porte, in funzione di umori personali.

Adesso, improvvisamente, dopo la pubblicazione di un manifesto programmatico che tenta di mettere ordine o di avviare un dibattito più approfondito, che possa individuare un perimetro operativo dentro il quale costruire una normativa più agile ed efficace, tutti si sono ricordati dei depositi di musei e soprintendenze. Tutti si sono ricordati dei catalogatori – figure importanti e preziose – che fino ad oggi erano fantasmi dentro le soprintendenze, magari utili per svolgere altre funzioni, tranne quelle di catalogare. Certo viene da pensare: dove sono stati questi attenti detrattori della carta di Catania fino ad oggi?

Ovviamente, l’onda d’urto – costruita ad hoc, per delegittimare questo processo di revisione e di riordino normativo – si è propagata attraverso slogan apocalittici e fuorvianti che hanno usato autorevoli testimonial del mondo della cultura e della politica. La maggior parte dei “tifosi” non ha nemmeno letto il manifesto “Carta di Catania”, osservando in grassetto solo i nomi dei personaggi pubblici, autorevoli, colti e al di sopra di ogni sospetto che hanno incorniciato la rivolta. Personaggi meritevoli di grande stima e di riconoscimento per quello che hanno fatto per la cultura e per questo Paese ma in alcuni passaggi, le loro affermazioni erano forzatamente curvate e prive di argomentazioni reali.
Ovviamente rimane il sospetto che il tema della discussione non sia il testo della Carta di Catania ma il colore politico di chi l’ha adottata e proposta per un legittimo iter parlamentare.

Si parla di poca partecipazione nella sua elaborazione e di norma calata dall’alto (ormai una filastrocca) ma se riflettiamo bene è esattamente il contrario.

La Carta di Catania: i pregiudizi politici contro un manifesto culturale nato dalla partecipazioneUn documento, frutto di un convegno a cui hanno partecipato accademici, associazioni e istituzioni che sottoscrivono un manifesto culturale mi sembra una buona partecipazione. Un assessorato regionale che ne prende atto e lo invia alla commissione parlamentare cultura della regione Sicilia, per iniziare un iter di condivisione politica finalizzata alla promulgazione di una legge, mi sembra una buona partecipazione. Tranne che per partecipazione si intenda, chiedere con un referendum popolare, se lasciare i depositi al loro destino (ovvio) o pensare al loro futuro; in questo caso sarebbe demagogico, strumentale e tendente al “barabbismo”.

Si parla di svendere i reperti archeologici/artistici ai privati e in particolare ai “supermercati” (cit. Salvatore Settis).

Espressione utile per drammatizzare e usata da chi conosce il potere della parola ma fuori luogo e fuori contesto. Come esprimersi disgustati dell’alternanza scuola lavoro, come se fosse un cancro. Il supermercato per ovvie ragioni di target e marketing al massimo noleggia una Ferrari per una settimana, da mettere nello spazio antistante al centro commerciale; non ha nessun interesse a recuperare reperti, assumersi responsabilità relative alla sicurezza degli stessi e approntare vetrine ad hoc, assumendo giovani ricercatori, coadiuvati da catalogatori della soprintendenza. Non credo proprio. Lo farebbe un comune, una banca, una fondazione, così come spesso avviene. Ma se si legge che il pericolo è trovare un Caravaggio vicino alla cassa di un supermercato, certamente si avranno più like sui social.

Le storie dei depositi sono tante e ci saranno anche quelle virtuose ma sentendo gli addetti ai lavori, in giro per l’Italia, non sembra che siano rose e fiori ovunque. I depositi sono pieni di reperti abbandonati, decontestualizzati.

La Carta di Catania: i pregiudizi politici contro un manifesto culturale nato dalla partecipazioneAllora se un comune, investe delle risorse per riportare nella sua sede naturale i reperti scomparsi (lotto funzionale) per allestire un’esposizione che valorizzi la sua identità, nel rispetto dei protocolli, sentite le istituzioni, coinvolgendo le associazioni e la comunità, sarebbe una cosa da evitare? Se lo facesse una banca (cosa che già avviene) sarebbe uno scandalo? Meglio nascondere tutto?
Sull’alternanza scuola lavoro ci sono esperienze virtuose come quella dell’ITE Russo di Paternò che con Sicilia Antica e la Soprintendenza stanno dando un contributo straordinario alla storia della città di Paternò: ne vogliamo parlare? Sarebbe utile invitare Claudio Fava e Salvatore Settis alla presentazione dei lavori dei ragazzi e visitare il deposito di Paternò per esempio. E altre esperienze sono già in programma con il Liceo Statale De Sanctis di Paternò, l’Archeoclub d’Italia, la Soprintendenza e l’Università, coerentemente con questa linea culturale e metodologica che la Carta di Catania propone. Ma di queste esperienze virtuose ne potremmo annoverare tantissime in tutta Italia.

Mi sembra più onesto, quindi, riprendere i lavori parlamentari, dare un contributo migliorativo al manifesto culturale proposto e costruire convergenze per il bene comune.

Lontani da contrasti elettoralistici che nulla hanno a che vedere con la cultura. Ovviamente e contestualmente la Regione Siciliana deve investire nei catalogatori, nella costruzione di archivi civici e regionali di alta qualità (magari un museo in meno e un archivio in più) promuovendo la digitalizzazione di ogni reperto e documento, per renderli accessibili e fruibili a tutto il mondo, senza misteri e nascondimenti. Meno slogan allarmistici e più proposte concrete, questa sarebbe partecipazione e sviluppo, il resto è sterile polemica. Vorrei ricordare infine che due associazioni come Sicilia Antica e Archeoclub d’Italia, in audizione alla Commissione Cultura della Regione Sicilia, hanno sostenuto la Carta di Catania, argomentando e proponendo.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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