Magia, l’altro modo di narrare la Natura

Magia, l’altro modo di narrare la Natura

Ne abbiamo bisogno, la cerchiamo ovunque da sempre. Nascosta tra le cose visibili e tangibili, dentro un gesto o un segno scolpito sulla pietra. Ridondante ma nello stesso tempo sovrapposta alla quotidianità, invisibile a occhio nudo.

La magia, come condizione parallela e imprevista. Un sentimento che oscilla tra la speranza e la preghiera. Una terra magica, una porta, una pietra, un luogo, un essere.

Magia, l’altro modo di narrare la Natura Guardiamo ciò che ci circonda con gli occhi della scienza, della fede ma dentro di noi scorre la magia.

Quella volontà di dominare gli eventi attraverso riti, segni; spinti dal desiderio, dalla necessità, dalla voracità.

Allora osserviamo le stelle, gli uccelli, il fondo di un caffè, le corrispondenze e le coincidenze. Tutte diventano il linguaggio della magia, la sua manifestazione evidente, quello che si tocca e si vede; materia per iniziati e sacerdoti, per veggenti e ciarlatani. Ne abbiamo bisogno, da sempre.

Nei sogni, nei gesti, nei riti, nelle corrispondenze. Ci appare, come la manifestazione della dimensione divina – bianca, nera – comunque esistente. Ci appare ossessiva, confortante, inquietante.

La invochiamo silenziosamente, con prudenza e imbarazzo, anche riproducendo gestualità incomprensibili ereditate dal passato. Gestualità che abbiamo nascosto dietro altre credenze, quelle che ci rassicurano davanti agli occhi della gente. Perché la magia è intima, privata, si nasconde, oggi più che mai nel tempo della scienza che tutto può e tutto è – ma fino ad un certo punto.

L’umanità è cresciuta con la magia, da millenni. Come il mito sta alla storia, la magia sta alla scienza. Sono di fatto due modi per narrare la natura, per descriverla e governarla. Non sono in contrapposizione ma scorrono nella stessa direzione: il desiderio irrefrenabile di capire e modificare l’esistenza umana, curvandola secondo la propria volontà.

Magia, l’altro modo di narrare la NaturaLa letteratura, il cinema e l’arte in genere esplorano questo territorio ripetutamente e nei momenti di maggiore crisi dell’umanità riemerge prepotentemente la necessità di fare magia, di evocarla.

Molte delle produzioni cinematografiche o televisive si rivolgono alla magia:

streghe, vampiri, demoni, miracoli, anime, gnomi, folletti fino ai super poteri. Il soprannaturale, l’inspiegabile, il misterioso diventano le colonne sonore della nostra vita.

Una figura, un animale, un evento sono il pretesto per sperare, per evocare, per ritualizzare. La natura si offre a questo scopo, si concede a questa necessità, accompagna questa esigenza dell’uomo. Ma la magia ha bisogno di ritualità, di ossessività, di corrispondenze nel tempo, di sacerdoti, maghi e streghe.

L’uomo può capirla o subirla, definire la sua funzione psicologica o sprofondare in una fatalità irreversibile, cogliere il suo significato pratico o perdersi nel suo mistero. La magia è anche osservazione, consapevolezza, profondità, accoglimento, adattamento, apertura alle diversità, sentimento di accettazione di una dimensione divina che vive di una bellezza impenetrabile: il mistero.

Chi non ha mai sperato nella magia, nella sovversione degli eventi, nel colpo di scena? Nell’imprevisto, nella curvatura delle cose, nel ritorno delle condizioni di partenza e viceversa? Chi non ha sperato, pregato, evocato? Chi non ha compiuto un gesto dal significato magico? Il sale, l’olio, le piante grasse davanti alla porta, il rosso delle intime stoffe, il gatto nero, il sogno dei morti, la forma del pane, e chissà quanti altri piccoli gesti che sono ormai parte della nostra vita di sempre. Lo facciamo di nascosto, per non sembrare ridicoli agli occhi dei nostri simili, ma lo facciamo, con imbarazzo, qualche volta anche sorridendo di noi. Ma è quell’innata voglia di magia che abbiamo da sempre.

Ma nulla funzionerebbe se non ci fosse la ripetizione, la serialità, la ridondanza dei gesti. L’uomo costruisce la magia attraverso la ritualità, sempre uguale a se stessa, come una preghiera, come un’esortazione perché tutto si compia. Rosso, azzurro, nero, bianco. Cerchio, quadrato, triangolo, esagono, pentagono. Orientamento, fondazione, luce.

Albero, fiume, sorgente, caverna, vulcano, pianta. Vello, tessuto, disegno, acqua, fuoco, terra, aria. Animale, erbe, metalli, sangue, donna. Abbiamo esorcizzato la magia, l’abbiamo rinchiusa nelle segrete stanze del nostro inconscio, emarginata dalla dialettica di tutti i giorni, sacrificata sull’altare della modernità, ma emerge ogni volta che ne abbiamo bisogno veramente, sotto traccia, sotto mutevoli forme, imbarazzata e prudente, ma presente. Forse basterebbe comprenderne le ragioni che la generano nella nostra mente, perché è lì che vive da sempre la magia, generata dalla nostra voglia di spiegare il mistero della natura infinita; quel palloncino che fluttua nel cielo, tenuto a terra da un filo, nella mano di una bambina.

Magia, l’altro modo di narrare la Natura

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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