Architettrice, pensare al femminile per governare lo spazio collettivo: parlano Bonanno, Sorge e Tosto

Architettrice, pensare al femminile per governare lo spazio collettivo: parlano Bonanno, Sorge e Tosto

La Giornata della Donna è l’occasione per sentire tre architetti al femminile, tre donne che esercitano un mestiere forse spesso maschilista e che in questi giorni si interrogano sul chiamarsi architetti o architette.

Ci sembra riduttivo e fuorviante; la questione è capire se siamo riusciti – gli uomini – a riconfigurare il nostro modo di percepire questa bellezza culturale, offrendo pari opportunità. Non si tratta di determinare delle quote rosa – che umiliano la donna – ma metterle nelle condizioni di esprimere serenamente e la loro arte.

Abbiamo fatto tre domande a tre architettrici catanesi, Eleonoro Bonanno, Ivana Laura Sorge e Sabrina Tosto. Esponenti di una straordinaria stagione di architettura sotto il vulcano.

Eleonora Bonanno, molte donne laureate in architettura, poche che esercitano la professione. Ai tavoli del governo del territorio c’è la prevalenza degli uomini, perché?

Architettrice, pensare al femminile per governare lo spazio collettivo: parlano Bonanno, Sorge e Tosto«Una ricerca del Politecnico di Milano ha evidenziato che ad una percentuale più alta di immatricolate e laureate in architettura, con voti mediamente più alti dei colleghi, corrisponde una percentuale più bassa di donne che lavorano. Inoltre, nell’Anno Accademico 2017-2018 la percentuale di donne all’interno del corpo docente corrisponde al 28,7% e le donne rappresentano il 26% degli interventi nelle principali conferenze di alto livello in Europa.

A Catania abbiamo un solo assessore donna, così come in Sicilia. Nei tavoli decisionali del governo del territorio non sono presenti donne. Crediamo ancora che questo non sia un problema? I dati sono evidenti, più difficile invece trovare una motivazione. Io credo che questa situazione sia legata ad una concezione ancora patriarcale della nostra società in cui la storia ci è sempre stata raccontata dalla parte degli uomini: sono gli uomini che si sono evoluti durante la preistoria da agricoltori a cacciatori forgiando i loro strumenti; sono gli uomini che hanno condotto guerre e detenuto il potere; sono gli uomini che hanno fatto le scoperte scientifiche che hanno fatto progredire la nostra società, che hanno realizzato gli edifici più belli e le opere d’arte che ci lasciano senza fiato. Siamo cresciuti ascoltando una storia parziale, nella quale, però, le donne esistono: l’artista Artemisia Gentileschi, l’architettrice Plautilla, le innumerevoli scienziate di cui sconosciamo il nome. Una storia parziale nella quale le donne libere venivano bruciate al rogo da un consesso di uomini. Oggi? Oggi, purtroppo, mancano ancora gli strumenti politici che possano aiutare le donne a lavorare e contemporaneamente crescere i figli. Manca ancora la cultura del rispetto che, anche attraverso l’uso della parola, mortifica personalmente e professionalmente le donne. Per ultimo, chiedo però alle donne di autodeterminarsi, senza aspettare l’approvazione degli uomini, e agli uomini chiedo di ascoltare la voce delle donne, non solo l’8 marzo».

Ivana Laura Sorge, esiste una dimensione femminina dell’architettura?

Architettrice, pensare al femminile per governare lo spazio collettivo: parlano Bonanno, Sorge e TostoUn contributo progettuale riconoscibile come prodotto del pensiero femminile. Donna architetto?
«La dimensione progettuale, è legata alla sensibilità di chi riesce a cogliere. Può essere uomo e può essere donna. Doveroso è però degnare di accento, questa sfera emotiva che trovo sia una prerogativa più al femminile; la donna osserva maggiormente con gli occhi ed il cuore, in modo sentimentale. Essendo l’architettura un riflesso dell’anima delle persone, credo che si possa parlare di un’architettura femminina, che non significa avere un’architettura più funzionale o più bella, ma un’architettura permeata di emozioni dalle quali traspaiono le capacità intrinseche del genere femminile. La donna genera, partorisce, si adopera di un tempo più prolungato per entrare nel profondo della riflessione, contrariamente all’uomo che si lascia dominare meno dalle emozioni e più da un calcolo matematico.

Artiste e compositrici donne hanno dato importanti contributi alla storia dell’architettura e lo hanno anche fatto nelle situazioni in cui l’appannaggio di questa professione storicamente maschilista, celava le loro figure, nonostante di sicuro abbiano dato un’impronta importante alle loro architetture riconosciute “maschili”.

A mio modesto parere, penso che la donna sia più propensa ad accogliere maggiormente la missione sociale del ruolo dell’architetto. Preminenza al cogliere con più profondità come si possa vivere uno spazio; libertà, ascolto, con un approccio che infonda armonia, lontano dall’idea di un’architettura austera; composizioni che ricercano l’essere, unione di spazio, luce, natura, amare, sensualità, un tutt’uno sovvertendo l’assioma di fondo di staticità dell’architettura, di rigidità, di estremo minimalismo , bensì una progettazione che si apra al mondo, all’interiorità. Un’architettura che nell’emozionare, raggiunge il sublime con la luce naturale, con i rimbalzi di luce, suoni, colore, acqua, l’uso di materiali in cui impressa è la poetica del lavoro artigianale, del tempo lento, dalle piastrelle smaltate allo studio dei colori del benessere, al tatto dei materiali per soddisfare i cinque sensi. Probabilmente questa è la descrizione che mi appartiene, avendo spesso ricevuto queste parole di chi osserva le mie realizzazioni, mi è stato detto che “la mia architettura è riconoscibile che è Donna”.

Buona festa della donna, a tutte coloro che fanno vincere l’amore per il loro lavoro e tenacia nel conquistarlo, contro una società che in fondo ancor maschilista un po’ lo è. Osservando i contesti e come si ripercuotono su di noi, sulla dimensione della bellezza, mi piacerebbe molto che noi donne architetto avessimo più voce in capitolo per educare e sensibilizzare a saper cogliere il bello per poterlo riconoscere e diffondere. Una dimensione più umana del nostro lavoro. Mi piacerebbe si affinasse la parte sensoriale e istintiva per creare ambienti più consoni al benessere psicofisico; un’architettura che non dimentichi il valore sociale. Ciò che andrebbe scardinato è il macigno del peso burocratico, dei circoli viziosi sessisti, del fregare l’altro, così si riuscirebbe a dare importanza all’operato dell’architetto, a dargli tempo per poter valorizzarsi e valorizzare».

Sabrina Tosto, donne e cantiere, un mestiere maschile; architetto o architetta?

«Che il cantiere sia maschile è un fatto. Ci posso essere idee differenti, ma sono solo opinioni, casi. E i casi, per definizione non sono la regola. Un architetto donna in cantiere è una signora, o signorina se giovane. Quando ti iscrivi all’Università, in Architettura, sogni il costruire: malta, cemento, ferri, XLAM e legno à gogo, ma poi succede che in cantiere vai con un collega uomo, e lì, fine dei giochi, game over, lui è l’architetto, e tu? Beh, al massimo la sua assistente: una risorsa o, peggio ancora, uno strumento d’affiancamento. Niente di più. Che meraviglia, fior fiore di 110 e lode che svaniscono o si danno fuoco perché appaiono quasi tempo sprecato.

Avremmo fatto prima a cercare di farci conoscere dalle imprese, perché, è vero, pian piano, una volta che ne individui una di riferimento, di fiducia, allora le cose migliorano. Ma quanto impiega un architetto uomo a farsi rispettare in cantiere? Probabilmente giusto il tempo di scendere dall’auto. Poi, per carità, ci sono casi e casi. Ma come ho già detto i casi non sono la regola.

Chissà se ci imponessimo il titolo architetta cosa accadrebbe. Me lo sono chiesto. Forse qualche risolino per lo stupido richiamo ad una di quelle parti che più piacciono, su cui “casca l’occhio”? Chissà. Non credo che una consonante possa cambiare un destino, perché non credo che cambierebbe il fatto che, per aver ciò che una donna merita, e cioè il rispetto, deve faticare il doppio di un uomo.

Le battaglie da fare sono tante e se la bandiera deve essere una vocale, va bene. L’importante è non imbattersi in chi si fa andare bene le cose così come stanno. A me piace parlare di persone, non di uomini o di donne. Le persone, un unico folto gruppo variegato e inclusivo, elimina per definizione quelle discriminazioni di cui inevitabilmente una categoria, da sola, è vittima».

Forse la questione non è, architetto o architetta, ma architettura. Esercizio del fare bene, per governare lo spazio collettivo, pubblico e privato. Il genere può essere un valore, se vissuto sul piano culturale. Gli uomini dovrebbero avere più fiducia e opporre meno resistenze ai luoghi comuni. Viva le donne e gli uomini che vivono l’architettura.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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