Al Teatro Antico di Catania gli attori tornano in scena con Lysistrata: emozione per l’opera di Aristofane

Al Teatro Antico di Catania gli attori tornano in scena con Lysistrata: emozione per l’opera di Aristofane

Ironico, divertente, a tratti imbarazzante. Allegorico, persino attuale e ovviamente emozionante.

In scena, al teatro antico di Catania, la Lysistrata di Aristofane, con un testo riscritto da Valentina Ferrante che cura la regia, insieme a Micaela De Grandi e le musiche originali di Luca Mauceri.

L’opera è stata proposta all’interno del festival Amenanos Festival 2021, (dal 16 al 26 settembre a Catania) che – come ha sottolineato l’assessore Barbara Mirabella – “è la dimostrazione di come con la tenacia e con l’impegno, anche nell’anno più difficile per il teatro come quello che abbiamo vissuto, si possano organizzare rassegne di altissimo profilo”. Questa rassegna – ha dichiarato il sindaco Salvo Pogliese – “è nata dalla splendida intuizione di giovani imprenditori del mondo dell’arte e della cultura che nel 2019 hanno avviato un percorso con le istituzioni che ha tra l’altro permesso la valorizzazione un sito di incomparabile bellezza, il teatro greco romano, e di presentare alla città e ai turisti, rappresentazioni di eccezionale levatura. Un festival di eccezionale valenza artistica e culturale realizzato in sinergia con la Regione Siciliana e gli assessorati ai Beni culturali e al Turismo”.

Ma la grande emozione è rivedere gli attori – bravi – che ritrovano la scena, invadono la cavea, scavano lo spazio urbano e attraversano il pubblico da parte a parte. Sono Giovanna Criscuolo, Micaela De Grandi, Valentina Ferrante, Massimiliano Geraci, Giovanni Rizzuti e Federico Fiorenza che si alternano – indossando costumi Kitsch e Pop – a rappresentare Lysistrata, Mirrina, Cleonide e Cinestia, il commissario ateniese, Lampitò e il vecchio, Lacone, l’altro vecchio e Corinzia. Un caleidoscopio di personaggi, di voci, di suoni vibranti, quasi, fino alla parodia caricaturale e pornografica, che fa arrossire il pubblico più volte, mentre sorride nascosto, nella penombra del teatro di pietra.

La scenografia è essenziale ed esplora il mondo dell’arte del ‘900.

Dallo spazialismo di Lucio Fontana per la vagina rossa che fa da fondale – come uno dei famosi tagli dell’artista italo-argentino – al fallo iconico del surrealista spagnolo Joan Miró, colorato di azzurro. Una vagina-tela che si attraversa, si penetra, si esplora.

Una vagina che funge da propilei all’acropoli di Atene, dove le donne si rifugiano per attuare “lo stratagemma” contro quei poveri “uomini” sempre impegnati nella guerra. Lo spazio scenico è attraversato, certe volte modellato, dalla danza dei personaggi. Il dio “fallo” che diventa il totem sacrale, il tema della privazione e del desiderio sessuale. Elemento di forza e di debolezza tra i due sessi che si contrappongono. L’oggetto del contendere, il cui significato è il potere, un potere fragile, effimero, persino infantile e comico. Dentro questo topos capovolto, irrompe il filo della tessitura che le donne imbastiscono sapientemente.

Il teatro di pietra è esso stesso parte della rappresentazione, con le sue tracce, il rimando a un tempo lontano, i reperti sparsi ovunque. La cavea pare spingere lo spettatore fin dentro la scena, incastonata dentro un pezzo di citta viva. Spettatori e attori si scambiano i ruoli, ripetutamente, come ci suggerisce Eugenio Turri nel “Paesaggio come teatro” perché siamo sempre attori e spettatori nello stesso istante. Questa è una delle magie del teatro classico.

Ma Lysistrata è in qualche modo attuale, presente nel nostro tempo.

Forse Aristofane voleva presentare solo il paradosso di un mondo capovolto ma emerge una verità ancora attuale: la politica ha bisogno delle donne. Quella politica che spesso ci restituisce scenari contraddittori e inquietanti. Cronache sommerse e misteriose, spesso sesso centrica, che usa la donna come merce di scambio o di conquista; il sesso utilizzato per ricattare, per influenzare, per compensare. Il pubblico potrebbe arrossire ma non stupirsi per quanto Aristofane ci presenta oggi.

La donna nel V secolo a.C. nella cultura greca vive prevalentemente dentro il recinto del gineceo, Lysistrata rompe questo recinto domestico, supera il limite urbano e conquista lo spazio sacro dell’acropoli: una rivoluzione. L’unica arma, per le donne, il governo del desiderio sessuale che spoglia gli uomini di quell’armatura effimera che li fa sembrare invincibili. Risultano – gli uomini – a questo punto persino ridicoli e infantili con quel fallo in bella vista, che nella rappresentazione proposta dalla regia, è un serpente di stoffa, buffo e ingombrante. La donna risulta emancipata e soprattutto rivela le sue doti strategiche, perché il suo sesso non è in bella mostra, esposto allo sguardo della comunità, ma nascosto, intimo, segreto. La donna è tessitrice, esercita la Themis e la Mètis, giustizia e saggezza. L’uomo incastrato in una comunità sesso centrica, vittima e schiavo del suo stesso “fallo” non ha la lucidità per governare la comunità in cui vive, infatti esercita la guerra. Anche oggi, in molte comunità formali e informali, l’uomo schiavo del sesso è spesso emarginato e isolato perché ritenuto inaffidabile.

Ma l’opera di Aristofane, quella rappresentata a Catania al teatro antico, è anche un’emozione collettiva.

Lysistrata e tutte le altre rappresentazioni presentate in cartello – come quelle messe in scena dal Liceo Classico Cutelli – sono l’inizio della normalità per le nostre comunità. La pandemia ci ha costretti a vivere dentro un “gineceo” virtuale, un recinto aperto solo attraverso i monitor dei dispositivi digitali. Quel teatro antico è qualcosa di più di una rappresentazione, è la vita stessa, la possibilità di sfiorarsi e vedersi. Le città hanno bisogno del teatro, di quella magia che ci restituisce il senso dell’umanità. Il teatro rimane comunque la rappresentazione di quella natura umana sempre viva. Un applauso alla compagnia teatrale – ai suoi attori – che ci hanno regalato un’emozione e un sottile suggerimento: abbiamo bisogno del teatro e delle donne impegnate in prima linea in politica, per costruire una nuova bellezza nelle nostre città. Stasera alle 20.00 c’è l’ultima rappresentazione, Dionysus da Le Baccanti di Euripide.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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