La profezia: dentro l’uragano. Ci siamo girati dall’altra parte e l’acqua ci ha sommersi

La profezia: dentro l’uragano. Ci siamo girati dall’altra parte e l’acqua ci ha sommersi

Siamo già dentro l’uragano o forse tra pochissimo.

L’attesa, l’ansia, la paura dell’ignoto. Una mitragliatrice di notizie sulle possibili direzioni dell’uragano. Verso noi, verso altri, verso il mare. Adesso, tra poco, domani. Tutti in attesa di un titano sfuggito al volere di Zeus.

Abbiamo già collezionato ogni possibile soluzione per mitigare la tempesta, i suoi effetti sulla terra e sulle case. Lo facciamo da anni, sempre con la stessa liturgia: ci cospargiamo di cenere, piangiamo le vittime e i danni, volgiamo il nostro sguardo verso il cielo, chiediamo ai santi la giusta protezione. Poi – per quelli più evoluti – documentiamo gli intoppi per quello o per quell’altro progetto mai realizzato, puntiamo il dito verso il principe di turno, per il piano di sicurezza mai partorito e ancora cenere e cilicio. Qualche foto, alcune dichiarazioni e il gioco è fatto.

Il clima, l’ozono, le ONG, la magia, la luna e le stelle.

Scoveremo prima o poi il vero colpevole. L’uomo, che a partire dalla rivoluzione industriale ha compromesso la stessa vita sulla terra. Troppo lontano? Allora avviciniamoci un poco. Le nostre scelte dagli anni ’70 in poi? Può essere ma siamo ancora lontani. Il silenzio negli ultimi trent’anni?
Ci siamo, il silenzio. Perché da circa trent’anni lo dicono in tutte le lingue che bisogna fare qualcosa e noi cosa facciamo? Silenzio. Solo – come dice quella signorinella svedese – bla bla bla.

Abbiamo impermeabilizzato anche la pasta alla norma? Abbiamo reso impenetrabile persino il bosco degli Hobbit? Abbiamo estirpato ogni albero, cespuglio e coperto ogni fiume e torrente con ogni genere di cosa? Lo abbiamo fatto? Allora che cosa volete? Un miracolo?
Ma la cosa più grave oggi è il rito del silenzio, dell’indifferenza, persino il Papa, quel Francesco rivoluzionario, lo ha detto a lettere maiuscole, ma noi sempre a fare silenzio.

Non ci possiamo permettere di restare sempre nella dimensione del vago, dell’imponderabile, del generico, troppo facile e comodo direi. Allora affondiamo il coltello nella piaga. Abbiamo valutato i compluvi della città di Paternò (esempio esportabile ovunque)? Ci siamo chiesti perché nella piazza di Sant’Antonio c’è sempre un lago? Fatalità, mistero? Sapete che la Piazza Superiore – oggi Indipendenza – si chiamava canali? Che lungo il corso principale ci sono più di venti sorgenti? Sapete che tutte le acque del territorio convergono proprio a piazza canali e poi giù per Sant’Antonio?

Allora, se abbiamo capito tutto questo non ci resta che chiederci:

cosa abbiamo fatto per interrompere questo fiume naturale di acqua, che andava serenamente verso valle? Abbiamo costruito una scuola – la Falconieri – un parcheggio – La Russa – e per finire, perché non bastava tutto questo, abbiamo impermeabilizzato, sbarrato, ostruito il naturale deflusso con ogni mezzo. Qualcuno sta pensando alle colpe della vecchia classe politica, alla DC, ecc. ecc. invece no.
In questi ultimi anni, proprio negli ultimi due, a valle del quartiere dei Falconieri abbiamo permesso di cementificare una vasta area di suolo agricolo di pregio con vincolo archeologico, senza battere ciglio, abbiamo permesso di realizzare una strada proprio sul vecchio canale e il tutto nell’indifferenza generale (canale realizzato dei nostri avi mirabilmente). Le istituzioni? In silenzio, come da tradizione.

Inutile ricordare le cose già dette in passato.

Alberi, permeabilità, riduzione dell’uso del suolo ecc. ecc. serve uscire da silenzio delle istituzioni, serve dire basta all’ ipocrisia. Se continuiamo a girarci dall’altra parte o peggio ancora a giocare al piccolo ingegnere naturalista, scimmiottando qua e là, rischiamo di essere sommersi dall’acqua. Stop ai convegni partecipativi e via alle azioni sul campo.

Ora – attraverso l’esempio proposto – sarebbe bello vedere le reazioni di tutti, compreso quelle delle istituzioni che hanno forse più convenienza a girarsi dal lato opposto alle cose che contano. Vedremo, e in attesa di altri anni di silenzio, vogliamo profetizzare come quei sacerdoti di Hybla, che secoli fa, si chiamavano Gereatis o Galeatis. La storia insegna, la storia del territorio insegna, la storia degli uomini insegna, ecco perché qualcuno sbobba la storia e la memoria, è tutto più comodo e i delitti più facili. Correva l’anno 2021, lo dico per un amico.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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