Archeologia, intervista a Massimo Cultraro: “Aperti a visione multidisciplinare. Indaghiamo Dna antico per nuove scoperte”

Archeologia, intervista a Massimo Cultraro: “Aperti a visione multidisciplinare. Indaghiamo Dna antico per nuove scoperte”

Massimo Cultraro, adranita, è un archeologo, docente universitario, saggista e ricercatore; rappresenta una delle figure più rilevanti nel mondo dell’archeologia contemporanea.

Sono tanti i suoi studi e gli scavi condotti in tutto il mondo. Vive ormai tra Catania e Palermo ma non dimentica le sue origini etnee. L’ho intervistato per il Corriere Etneo per capire meglio questo mondo affascinante dell’archeologia, dove intuito, scienza, passione e perseveranza sono gli ingredienti per scoprire la nostra storia più antica

Archeologia, intervista a Massimo Cultraro: “Aperti a visione multidisciplinare. Indaghiamo Dna antico per nuove scoperte”FF. L’archeologia è tornata al centro delle attenzioni dei media e riscuote l’interesse, non solo di studiosi e specialisti ma di un’ampia fascia di popolazione. Forse le trasmissioni come quelle di Alberto Angela sulla Rai hanno dato un grosso contributo. Lo stesso Sebastiano Tusa – archeologo, assessore ai BB.CC.AA. della Regione Sicilia, scomparso qualche anno fa – era convinto assertore della necessità di divulgare il lavoro degli archeologi, le ricerche, i risultati, per educare tutti alla bellezza della memoria. Lei stesso è autore di una monografia per il grande pubblico sulla scoperta di Troia da parte di Heinrich Schliemann, edita dal Corriere della Sera. Il mistero, le nostre radici, le opportunità turistiche? Sono le possibili ragioni di questo scenario culturale. Ma come si sta riconfigurando la figura dell’archeologo in questo nuovo contesto, quali nuove territori disciplinari vuole esplorare? Sta cambiando il suo statuto disciplinare? Cosa sta cambiando nella metodologia di ricerca? Si parla sempre di più di multidisciplinarità.

MC. L’esempio di Heinrich Schliemann è assai calzante perché rappresenta il primo vero esempio di studioso che, insieme all’attività sul campo e all’indagine di un sito archeologico, ha previsto la necessità di chiudere questo percorso di ricerca con una pubblicazione destinata non solo agli addetti ai lavori, ma soprattutto al grande pubblico. Non tutti gli specialisti hanno fatto tesoro di questo insegnamento, ma in anni recenti si è riaperto il dibattito sul tema dell’archeologia pubblica e le ricadute dell’attività scientifica nel contesto socio-economico di una comunità. L’archeologia è profondamente e saldamente ancorata ai processi storici del tempo in cui viviamo. Non si tratta di una disciplina avulsa dal reale, ma impegnata a studiare e ricostruire il Passato in chiave di supporto al futuro. Per questa ragione oggi l’archeologia, ed in particolare la sua principale branca che è la Preistoria, si è progressivamente aperta ad una visione multidisciplinare in grado di coniugare la tradizionale lettura del Passato con le nuove e sempre più avanzate tecnologie nel campo delle scienze chimico-fisiche e biologico-molecolari. Sono infatti le nuove indagini di frontiera sul sequenziamento del DNA antico ad aprire insospettabili campi di ricerca sullo studio delle più antiche popolazioni, sulla mobilità dei gruppi e perfino sulla conoscenza di alcune patologie con cui l’uomo si è da sempre confrontato.

Archeologia, intervista a Massimo Cultraro: “Aperti a visione multidisciplinare. Indaghiamo Dna antico per nuove scoperte”FF. L’Archeoclub d’Italia, associazione nazionale che festeggia quest’anno il cinquantesimo dalla sua fondazione, le ha riconosciuto il premio internazionale “Sabatino Moscati” per il 2021, ritirato recentemente a Roma presso l’Università La Sapienza; premio consegnato proprio dalla figlia del grande archeologo a cui è dedicato.
Fortemente voluto dal Presidente dell’associazione, Rosario Santanastasio e dal direttivo nazionale, premia le eccellenze impegnate nel campo dei beni culturali e ambientali. Cosa significa premiare un archeologo in questo Paese, all’interno di una società che spesso considera marginali i beni culturali e la conservazione della memoria a tutto vantaggio di un progresso irreversibile che consuma più che conservare? Cosa significa questo premio per gli archeologi impegnati ogni giorno sul campo?

MC. Ho ricevuto con grande onore e gioia il premio internazionale “Sabatino Moscati” dedicato ad uno dei più importanti archeologi che il nostro Paese abbia avuto, distintosi per le importanti ricerche sul campo e soprattutto per essere stato il primo a tentare un’operazione di grande divulgazione scientifica della disciplina. La scelta di scrivere su riviste aperte al grande pubblico, la partecipazione a trasmissioni televisive, l’imponente mole di conferenze pubbliche erano alcuni degli ingredienti di questa straordinaria strategia di diffusione e comunicazione messa in atto da Moscati. Ricordo di averlo conosciuto di persona, appena adolescente ad una conferenza che tenne a Catania. Rimasi folgorato dalla sua prosa e gli feci delle domande alla fine del suo intervento.  Egli stesso, colpito dal mio entusiasmo giovanile, mi chiese di scrivere un articolo per la rivista Archeologia che raccomandò per la pubblicazione. Oggi, a distanza di quarant’anni da quell’episodio, ricevo un premio alla sua memoria, legando il mio nome al suo nel campo della divulgazione scientifica e nella condivisione di essere entrambi archeologi presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, al quale Moscati ha dato tanto.
 
FF. Serve sempre più, un patto tra volontariato culturale (come l’Archeoclub d’Italia) e le istituzioni preposte alla tutela, conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio della memoria. Gli istituti di ricerca, di formazione, ministeri e soprintendenze, il nucleo tutela del patrimonio dei carabinieri, gli enti locali e le università, la scuola e i parchi/musei sono i possibili partner di questo patto. Sappiano che sta lavorando a un protocollo d’intesa con l’Archeolcub d’Italia, coerente a questi principi: quali i punti cardine di questo accordo con il volontariato – che spesso è fatto da specialisti, radicati nei territori con grande potenzialità – e come questo può contribuire a valorizzare i paesaggi culturali, le aree archeologiche, i musei e più in generale le strutture culturali? Immagina un modello di co-gestione? Forse la condivisione nella ricerca e nella divulgazione?

MC. Il tema della conoscenza e della promozione scientifica è assai delicato e spesso confligge con la sensibilità di diversi soggetti, pubblici e privati. In molti casi si continua a percepire l’attività di tutela del Patrimonio Culturale in maniera ostruttiva e lesiva dei diritti privati. Solo in anni recenti, grazie ad una maggiore condivisione tra istituzioni di natura differente, si sta procedendo a favore di una più solida azione di promozione dell’azione culturale. Il tema centrale, tuttavia, rimane il grado di penetrazione di certe operazioni nel tessuto sociale e culturale di una determinata comunità, alla cui base rimane sempre come fattore imprescindibile quello dell’educazione e dell’istruzione. Occorre un maggiore coinvolgimento delle scuole, di diverso ordine e grado, anche e soprattutto nella prospettiva del futuro passaggio alla formazione universitaria di figure di adeguata professionalità. Non ultimo è il ruolo dei musei come potenziale centro di una nuova aggregazione e politiche culturali. L’organizzazione di mostre tematiche, come da qualche decennio sta avvenendo in molte parti del Paese, si rivela un’operazione vincente perché offre al visitatore comune, grazie anche al supporto delle nuove tecnologie informatiche e digitali nel campo del Patrimonio Culturale (esperienza immersiva, ricostruzioni 3D e brevi filmati), l’opportunità di esplorare segmenti del nostro Passato non altrimenti fruibili.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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