La fake news di Babbo Natale: il Vescovo di Noto svela il mistero

La fake news di Babbo Natale: il Vescovo di Noto svela il mistero

Il vescovo di Noto, Staglianò, irrompe come una tempesta nell’immaginario dei bambini (turbando di più i loro genitori).

Offre – dal pulpito della Cattedrale – una riflessione più ampia, spiega il rapporto tra i segni e i significati. Tra le idee e le modalità di rappresentarle. Contestualizza e attualizza. Colloca Babbo Natale (ma la questione non era stabilirne l’esistenza) in uno scenario più articolato. Certamente non può non evidenziare l’evoluzione iconografica di questo personaggio tanto caro ai bambini, a partire dalla sua origine (agiografica) fino alle recenti metamorfosi sviluppate dalla Coca-Cola e più in generale dal “mercato”. In pratica descrive la “trasmigrazione” iconologica e iconografica di Babbo Natale – dall’antichità alla modernità – per rafforzare l’idea primordiale: a natale dobbiamo essere tutti più buoni, in particolare con le persone fragili e indifese, con gli ultimi. Se da questo discorso estrapoliamo solo una frase e la sbattiamo sulle prime pagine dei giornali, sembra quasi una dichiarazione di guerra a qualcuno o a qualcosa.

In questo tempo, straripante di strumenti mediatici, veloci e capillari; invasi dall’offerta pubblicitaria, che ti entra fin dentro le ossa, per ogni tipo di prodotto, forse serve chiarire le ragioni etiche della festa della natività. L’iper-realismo, l’iper-verità che spesso pretendiamo o imponiamo come modalità funzionale alla nostra società, entra in conflitto con l’esigenza di narrazione fiabesca che è connaturata alla nostra cultura, non solo mediterranea. Fiabe, miti, leggende, sono gli strumenti usati da sempre per parlare di cose vere a tutti, ai bambini, anche alle persone semplici e non solo. La letteratura è ricca di esempi. Una carezza dolce, non una fuga dalla realtà. Ma la favola ha un senso se è seguita da una conclusione che ne spiega la morale. Una favola priva della spiegazione (azione didattica) sul suo significato allegorico sarebbe solo una bugia. Una verità finta. Il bambino ha bisogno di un racconto ma nello stesso tempo di un codice per decifrarlo.
La favola che rappresenta un ragazzo che passa davanti a un negozio e – tra musiche e colori – rimane invaghito dell’ultimo modello di cellulare, che trova poi sotto l’albero a natale, portato da un signore anziano dalla barba bianca vestito di rosso, cosa rappresenta? (cito una degli ultimi spot pubblicitari di una nota casa produttrice di dispositivi elettronici).

Possiamo credere a questa favola, e magari nascondiamo a quel ragazzo che non funziona sempre così. Il Vescovo ha solo riordinato il senso delle favole, il significato profondo di una liturgia antichissima. Donare, donarsi, per rinascere a nuova luce. Sarebbe, tra l’altro, uno dei compiti afferente alla sua funzione di Vescovo (la pubblicità fa molto di più, invadendo). Anche perché i bambini non sono scemi. Ma la frenesia verso la mercificazione di ogni sentimento potrebbe non essere eticamente corretto, senza dover a tutti i costi esorcizzare il mercato, rimane comunque legittimo spiegare, che si potrebbe portare un regalo (essere) invece che aspettare un regalo (avere). Magari andando a comprare sotto casa, prodotti utili e necessari. Cosi, per dare un senso più profondo a questo natale.

Nel campo delle fantasticherie ci sono altre storie su cui riflettere.

Pensiamo alla festa dei morti. Al regalo che i nostri defunti portano nelle nostre case. Pensate che i bambini non abbiano capito? Allora spieghiamo loro il senso di questa ricorrenza, le implicazioni nella cultura contadina e di come evochiamo – con la festa dei morti – il legame tra la storia, il presente e il futuro. Liturgie presenti in tutte le culture e spesso declinate in mille modi. Oppure vogliamo dire ai nostri bambini che nonno – come uno zombi (perché nel frattempo i bambini sanno come vanno le cose) – viene di notte, passando dal negozio?

Una cosa è certa, le reazioni alle frasi riportate dai media, social ecc. sul discorso del Vescovo, sono più preoccupanti delle stesse parole dette. Un frasario sconnesso di adulti a difesa di Babbo Natale. Come se fossero stati loro, per prima a crederci fino adesso. Tutti preoccupati del trauma dei bambini, della consapevolezza della verità. E qui siamo veramente alla follia. Nel tempo dell’iper-verità, dove è possibile per tutti (anche i bambini) accedere a qualunque informazione – compreso youporn e i sui derivati horror – basta avere uno smartphon; e poi ci scandalizziamo se qualcuno spiega da dove deriva l’icona di Babbo Natale e ne spiega il significato? Vediamo se ho capito, stiamo manipolando e rimodellando in chiave comica ogni iconografia del sacro (le recenti immagini della Madonna in chiave Trans, hanno suscitato indignazione anche nella comunità LGBTQ+) e siamo turbati dallo svelamento del mistero sull’origine del più dirompente strumento pubblicitario della Coca Cola? Mah. Frasari che scandalizzando persino laici e atei. Una guerra da tastiera contro un uomo che ha solo spiegato il rapporto tra forma e significato.

Spiegare le cose non significa tradire i bambini.

Significa renderli consapevoli e soggetti attivi della comunità. Dobbiamo continuare a raccontare le favole, le storie di eroi, Dei e uomini leggendari. Ma dobbiamo farlo senza ipocrisia, spiegandone la morale, il significato. Attraverso lo svelamento delle permanenze, che comunque ci riportano all’idea primordiale della percezione del sacro e del trascendente. Evitando di trascinare tutto sullo stesso piano, quasi per dispetto. Forse questo tempo di forzata uniformità tra le idee, deve curvarsi verso la valorizzazione delle differenze e verso la spiegazione argomentativa. Prima che diventiamo “terrapiattisti” per induzione.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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