FIRENZE. Il Tribunale del Riesame di Firenze ha disposto l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di Maria Concetta Riina e del marito Antonino Ciavarello, rispettivamente figlia e genero del defunto capo di Cosa Nostra, Salvatore Riina.
La decisione è arrivata dopo che il Riesame ha accolto l’appello presentato dal Pubblico Ministero, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza per i reati di estorsione e tentata estorsione aggravate dal metodo mafioso, contestati in concorso ai due indagati. I fatti riguardano presunte richieste estorsive rivolte, tra agosto e i mesi successivi del 2023, a due imprenditori toscani.
Secondo la Procura, Maria Concetta Riina, insieme al marito, avrebbe inviato richieste di denaro ossessive e minacciose. In un caso, una delle vittime avrebbe ceduto, consegnando una somma in denaro e generi alimentari per un valore complessivo di circa 1.150 euro.
L’inchiesta è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze e condotta dal R.O.S. dei Carabinieri. Durante le indagini è emerso che Ciavarello, pur detenuto, sarebbe riuscito a inviare messaggi alla moglie e a una delle vittime tramite un telefono cellulare non autorizzato.
Secondo quanto riferito dal procuratore di Firenze, Filippo Spieza, la misura cautelare è stata motivata dalla presenza di esigenze cautelari legate al pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato.
La figlia maggiore del boss corleonese avrebbe inoltre pronunciato frasi ritenute rilevanti dagli inquirenti: «Noi siamo sempre gli stessi di un tempo, le persone non cambiano», scritta in uno dei messaggi intercettati.
Per entrambi, tuttavia, la misura cautelare non è ancora esecutiva, in attesa dei termini per un eventuale ricorso in Cassazione e della relativa pronuncia definitiva.
Antonino Ciavarello, già arrestato a Malta nel febbraio 2024 in esecuzione di un mandato di cattura europeo, si trovava detenuto a Rieti, dove a marzo scorso ha intrapreso uno sciopero della fame lamentando il mancato rinnovo della carta d’identità e la necessità di cure sanitarie, tema su cui la moglie aveva lanciato un appello alle istituzioni.
Gli indagati sono da ritenersi presunti innocenti fino a sentenza definitiva.
