“Volver” a Madrid è come tornare alle origini di quello che siamo. Ritrovare quelle connessioni antiche tra la Sicilia e la Spagna, presenti nella lingua, nella cucina, nella cultura e nell’arte. Le antiche popolazioni ispaniche emigrarono in Sicilia, ancora prima dei siculi e dei sicari. Da Re Pietro III d’Aragona fino ai Borboni nel XIX secolo. Passando per quel Filippo II che nel 1561 portò la capitale da Toledo, proprio a Madrid. Quel Filippo II che, prima accolse Sofonisba Anguissola a Toledo nel 1559, prima di spostare la capitale.
Una Madrid che era la “Villa”, dalle origini arabe. Nulla a che fare con la città che è oggi, quella che provò a cambiare Arturo Soria y Mata nel XIX secolo con l’intuizione della città lineare. Secoli di trasformazioni, poi la dittatura e negli anni ’80 la rinascita come città europea multietnica, capitale del panispanismo.
Madrid, oggi, è una città policentrica, che unisce, attraverso una rete di strade radiali verso i confini del Paese, i tanti quartieri (barrio). Sol, Latina, Lavapies, Malasana, Chueca. Per citare quelli centrali, quelli che chiameremo centro storico. Poi, la nuova Madrid, dalle vie lussuose, affascinanti, ricche di negozi e uffici, come Salamanca, Castellana, Moncloa e tanti altri.
Oltre, Madrid, si espande come tutte le città europee, fatte di periferie degradate e di altre lussuose, con ville immerse nel verde. Poi strade, autostrade e viali alberati.
Ma che fine ha fatto Madrid, quella più identitaria? Lo racconta bene Lucia Etxebarria nel suo romanzo “Cosmofobia” ambientato a Lavapiès nel 2010. La Madrid degli emigrati di tutti i continenti.
Nel frattempo, sono passati molti anni e la città cambia ancora. Alcuni quartieri, quelli più identitari sono diventati altro. Chueca era un “barrio cultural”, come Malasana, oggi sono quartieri commerciali e turistici. Non sono quello che erano. Sono diventati, come Sol, Latina e Lavapìes, fabbriche di ricettività. Un enorme ristorante senza fine e un enorme albergo diffuso per ogni tipo di cliente.
Se alcuni negozi, quelli piccoli della tradizione resistono, è un miracolo dall’esito scontato, spariranno. Sostituiti dalle multinazionali della ristorazione e del commercio come Starbucks, Mc Donald’s, Zara, Nike, Adidas.
La Gran Via è uguale a tante altre strade commerciali delle grandi capitali europee. Ormai i brand internazionali comprano tutto, resiste a mala pena El Corte Inglès (che poi dentro trovi sempre Adidas, Zara ecc.).
Il tema principale è la turistificazione, la etnicizzazione, la commercializzazione delle città, che fanno fuori gli abitanti indigeni, i proprietari di un tempo, impotenti a causa di costi di gestione e di manutenzione degli edifici stratosferici.
Nel mulinello della modernità emerge una nuova anomalia: il turista non è più viaggiatore. Consuma voracemente ogni cosa. Corre, fotografa e scappa. Colleziona luoghi come trofei.
Vive ovattato da cuffie che lo isolano dal mondo – quelle nuove della Apple eliminano ogni suono – e perde la musica della città, quel vocio che è cultura. Lo sguardo è fisso sullo schermo, distratto, frettoloso.
Esiste una Madrid senza souvenir? Senza museo del Jamon? Senza Flamenco? I dati sono preoccupanti: ci sono più visitatori al Santiago Bernabeu che al Museo del Prado.
Per scoprire un’altra Madrid bisogna uscire dal Casco Historico. Addentrarsi nei luoghi dell’eleganza e della sofisticazione. Eppure la città custodisce spazi preziosi: i mercati come Barcelò, la biblioteca della scuola Pias, il Caixa Forum.
Architetture contemporanee che hanno inciso nel tessuto urbano, diventando polarità culturali. Spazi pubblici che favoriscono la socializzazione, soprattutto nelle periferie.
Un tassista racconta di essere stato costretto a trasferirsi a cinque chilometri dalla città: affitti insostenibili, costo della vita alle stelle. Non si riconosce più in Madrid, pur continuando ad amarla.
Poi la musica del Cafè Central in Plaza de Angel. E sembra di tornare agli anni ’40. Questi luoghi sono le “riserve indiane” della città. Memoria viva.
Madrid oggi è Milano, Londra, Parigi, Berlino. Una capitale europea che nasconde i suoi gioielli solo a pochi intenditori. Per scoprirli serve una guida culturale, non gastronomica.
Le vere isole identitarie restano i musei meno noti: navale, della città, del lavoro, del romanticismo. Madrid merita di essere vissuta nella sua intimità culturale. Altrimenti, meglio un documentario da casa.

