Giovani in fuga dal Sud: tra migrazione, falsa modernità e libertà negata
Con destinazione Centro Nord ed estero, negli ultimi due anni la diaspora dei giovani meridionali riguarda 134 mila alunni tra medie e superiori e 36 mila laureati in uscita dal Sud, secondo le stime del rapporto Censis-Confcooperative.
Perché la dimensione del fenomeno ha acquisito le caratteristiche della migrazione? Per il sommarsi, verisimilmente, di molteplici fattori: l’insufficiente offerta di lavoro coniugata con la carenza di servizi, insieme alla mancata valorizzazione dei meriti. Ma come si suol dire, ogni asino vanta il proprio genitore, peloso e orecchiuto come il figlio.
Infatti, secondo gli analisti, alla base della fuga – tale da sbarrare la strada al rilancio della produzione industriale con relativa assunzione di manodopera – sta un acronimo, STEM, vale a dire la domanda pressante del mercato di laureati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. In Sicilia come nel Meridione la quota è carente: 22,4% del totale nazionale, con un differenziale di 11 punti rispetto al Nord.
Deduttivamente, il rimanente dei laureati in materie diverse sarebbe in eccedenza. Niente di vero: statistiche lette nel verso sbagliato. Altrimenti non avremmo penuria di medici, veterinari, fisici, chimici e di specialisti in materie letterarie. In effetti, la quasi totalità dei laureati nelle discipline STEM sceglie di andare via dalla terra d’origine nella certezza di guadagni maggiori e collocazioni più prestigiose.
Considerando l’esodo dei laureati dal Meridione – 23 mila nel 2022, più altri 13 mila nel 2023 – il Sud appare come l’ultima carrozza sganciata dal treno dello sviluppo.
Ecco allora profilarsi la domanda elusa da decenni: il “progresso scientifico” è davvero progresso, o un sistema che soggioga la coscienza collettiva con tecnologia incessante, trasformando individui in consumatori automatici?
Senza scomodare Jean-François Lyotard, ci si lasci guidare da Sigmund Freud e dal suo Il disagio della civiltà (1930), dove analizza il conflitto tra libertà individuale e convivenza civile. Da allora, sociologia e società hanno spesso negato la libertà stessa, applicando regole che la comprimono.
Tante guerre, molte violenze, delitti atroci – figli uccisi dalle madri, donne assassinate dai compagni – troverebbero forse spiegazione nell’urto fra individuo e società. Prima o poi dovremo interrogarci se questi anni Duemila siano segnati dal progresso o dal regresso.
Anche in questo caso correre senza pensare, inseguire obiettivi e tappe, alimenta l’illusione che il denaro sia l’unico potere. Uno schema che richiede reazioni automatiche dell’uomo-consumatore, bandendo il ragionamento.
E, quantunque a proposito di somari raglianti nel gotha politico ce ne sia stato uno che ha sostenuto che “con la cultura non si mangia”, a costui si potrebbe suggerire la lettura di Eros, capolavoro di Giovanni Verga. Scoprirebbe che il denaro non assicura affatto la felicità, ma anzi alimenta il degenerare della società.
Se il modello di ascensore sociale dovesse essere quello impersonato da figure come Vittorio Sgarbi e Giampiero Mughini – il primo salvato a stento da una depressione galoppante, il secondo sull’orlo della crisi per mancati guadagni – siano i giovani a decidere se valga la pena inseguire quel tipo di successo.
Ai tantissimi giovani, ai talenti in fuga dalla Sicilia, con l’umiltà dell’esperienza andrebbe suggerito da familiari, docenti e amici di rimanere a lodare la propria terra natia. Guadagnerebbero forse meno, ma contribuirebbero a emancipare la propria terra con le loro doti, restituendo alla propria esistenza una dimensione umana oggi smarrita.
Lontani dalla rincorsa all’ultimo smartphone, status symbol da migliaia di euro, ritroverebbero forse la misura della felicità e del futuro.
