Il Tombino eroico di Paternò: la metafora civile che ha scosso la festa di Santa Barbara
Spesso gli eroi hanno lance e spade, corazze ed elmi. Gli ultimi, sono coperti di pezze, di stoffe e non hanno nobili origini, araldiche da mostrare, vessilli da portare in processione. La storia di oggi è quella di un piccolo eroe, di un Tombino. Uno dei tanti disseminati lungo le strade, dimenticato da tutti. Un tombino che ha deciso di urlare, di dire la sua, contro ogni pronostico. Una voglia di riscatto – sopressaper anni – nella tempesta silenziosa di una città fatta più di spettatori che di attori.
Ha sfidato il destino, ha osato l’impossibile, ha mostrato come anche un Tombino, anche l’ultimo dei Tombini ha un’anima e un forte senso civico. Il Tombino crede nella sua Terra, svolge il suo lavoro sempre, sostiene pesi, scosse, sollecitazioni, sotto il sole e la pioggia, ogni giorno, fino alla morte. In silenzio, umilmente, senza mai chiedere nulla in cambio. Vuole solo rispetto, cure, attenzioni, per essere sempre utile alla gente.
Ma in una città spenta, lui, da solo, ha rivendicato la sua natura, ha chiesto la libertà, ha denunciato il malessere di una società complice. Il tombino ha colto l’unica occasione che aveva, il passaggio della “Varetta” durante la processione della Santa Patrona, Santa Barbara. Ha saputo aspettare, calcolare ogni possibile conseguenza, pazientemente. Ha deciso di essere e non apparire, ha studiato la fisica e la statica, la grandezza delle forze vettoriali, lo sforzo di momento e misurato l’energia necessaria. Forza per distanza, poligoni funicolari, peso e massa. Ha sfruttato le sue conoscenze, la sua capacità di comprendere il cosmo. Ha organizzato tutto in ogni dettaglio. Ha scelto il luogo, il momento e misurato le conseguenze.
Il Tombino ha coraggio, iniziativa, spirito di squadra. Vive solo ma è consapevole di essere parte di una grande famiglia di Tombini. Un esercito, una costellazione, impegnati a tutelare la città. Ma spesso, questi guerrieri di metallo, sono abbandonati, sovrastati dall’asfalto, rattoppati alla peggio, oggetto di soprusi da parte degli uomini della manutenzione, di quelli che passano cavi e degli automobilisti. Abbandonati, erosi, ridotti in “buche” luciferine. È questa l’umiliazione più grande; loro, soldati di ferro, ridotti in trappole per la gente, le macchine, persino per le processioni sacre.
Il Tombino di via Circonvallazione a Paternò, durante la processione, ha deciso di dire basta. Era venuto il momento di fare qualcosa, di lanciare un avvertimento. Il portatore della varetta si è avvicinato, lo ha sfiorato, poi il tombino lo ha fatto sprofondare dentro di sé. Una trappola fatale. La torre-varetta barcolla, il portatore cade, i suoi compagni oscillano improvvisamente. La gente urla, i telefonini immortalano, la Torre-Varetta si spacca. Ruota intorno a una cerniera, mostrando la sua natura, dichiarando la sua fragilità. Anche se ricoperta di fiori diventa un macigno senza padrone, puro arbitrio, che scende per gravità e inerzia. IL tombino ha previsto tutto. Nessuna vittima, nessun ferito, solo un avvertimento. Un grido di allarme. Più dignità ai tombini, strade senza buche, viva la libertà.
Non è stato un evento occasionale, o peggio ancora un presagio di sventure. Questo lo dicono quelli che danno colpe e meriti ai santi per non sentirsi responsabili delle proprie azioni. Santa Barbara era dalla parte del Tombino, vegliava dall’alto, non per evitare la caduta ma per rimproverare una comunità. Svegliatevi. Lei e il Tombino per un giorno insieme. Lei, la Santa con l’ultimo, non con quelli dai vestiti preziosi, Lei con l’ultimo. Il più umile dei Tombini.
Paura, furore, chi scappa, l’autombulanza, tutti si toccano, si prega, si invoca la Santa, ma Lei è vigile, e sorride. Nessuna paura, era un avvertimento, un monito, come quello dell’Arcivescovo di Catania, quello duro per tutti. Tombino ergo Sum, direbbero i latini. Che poi i romani, quelli antichi, non avrebbero mai permesso a una strada di ridursi in un colabrodo, pericoloso per tutti.
Una massa di fiori pesanti è a terra. Svenuta, inerme. Il “varettaro” è senza parole. Guarda e maledice il Tombino, non può capire quanto coraggio c’è voluto per lui. Non può immaginare che tutto fosse stato pensato nei dettagli, sicuri di non far male a nessuno ma certi che il messaggio sarebbe arrivato forte e chiaro. Le strade e i tombini meritano rispetto e attenzione. Il Tombino è il primo rivoluzionario della città. Il primo che sfida la tradizione, l’apatia, l’eredità. Mentre la città si rinchiude dietro le persiane e diventa cornice alla festa, mentre la Santa scorre lungo le vie sola, senza i fedeli al seguito, accompagnata solo dal clero e dalla banda, il tombino trova il coraggio di urlare a tutti che è venuto il momento di dire basta.
La festa è finita, le varette sono tornate a casa, forse anche loro devono riflettere, la Santa ha fatto il suo dovere, la gente deve decidere se restare ai margini o entrare in processione, se guardare o agire, se cambiare o restare immobile. I fuochi illuminano il cielo, le bombe tuonano come titani, i tombini sono rinati. È la metafora di una città, che ha bisogno di altro, di qualcosa di nuovo, di coraggio. Il Tombino è l’eroe di questa festa, lui, che ha avuto il coraggio di muovere qualcosa con garbo. Ha chiesto solo di curare la città dai suoi malanni stratificati, ha chiesto attenzione, alle piccole cose. Oggi, dopo qualche giorno lui torna al suo lavoro di sempre, fare il Tombino. E noi?
