La torre di Paternò, conosciuta da tutti come “il castello” è uno dei simboli più iconici della città. È un’architettura imponente che ha curvato la narrazione storica, ha generato persino una letteratura immaginifica, diventando la sede di storie, leggende e simbolismi. Trova dimora, dentro le sue mura, persino un’improbabile Santa Barbara, la regina Bianca di Navarra, Cibele con i suoi riti equinoziali e Federico II.
La storia di questa torre è antichissima, prima bocca di un vulcano poi santuario pagano, trasformato in cristiano, presidio militare, palazzo e carcere. Luogo ricco di misteri, abitato dai pastori, dai malfattori, da generazioni di giovani paternesi che dentro e di nascosto, hanno giocato per anni con finte armature e spade di cartone. Per gli anziani, è conosciuta “a Turri”.
Prima bene comunale, poi regionale, oggi gestita con un sistema ibrido che comincia a scricchiolare. Negli ultimi anni è diventata – la torre – uno spazio senza identità, senza cura. Visitato da molti turisti e studiosi ma sempre privo di un vero e proprio progetto di fruizione. Solo occasionali eventi, spesso privi di coerenza scientifica. Il corto circuito è causato da una gestione priva di controllo. Basti ricordare la vicenda dei corpi illuminanti istallati senza nessuna autorizzazione e poi rimossi (chissà che fine hanno fatto). La prassi di istallare, allestire, mostre, eventi, ecc. senza una progettualità è diventata una prassi. Ognuno può fare quello che vuole, attraverso un rimbalzo di responsabilità, tra proprietario del bene, la Regione Siciliana, attraverso il Parco Archeologico di Catania e delle Aci e il Comune di Paternò (almeno fino a un mese fa) che lo ha trasformato in uno spazio di sperimentazione artistica senza controllo.
Iniziative lodevoli sul piano dell’impegno ma prive di una visione complessiva, di una coerenza tra contenitore e contenuto, spesso figlie di occasionalità estemporanee infiocchettate come azioni di buona volontà. Molta gente in perfetta buona fede, spinta da ragioni comprensibili ma inconsapevole delle ricadute negative e delle anomaliemuseografiche.
Mostre ed eventi improvvisati, privi delle necessarie autorizzazioni, quelle del Parco per esempio o della Soprintendenza, tanto per dirne una. Enti che sistematicamente negano il loro coinvolgimento. Sarebbe utile sapere chi si interfaccia con gli enti preposti alla tutela e con quali strumenti. Dalle interviste sembrerebbe che qualcuno acquisisce autorizzazioni sotto forma orale. Qualcuno “vicino” a questi enti che non è tenuto a presentare un progetto museografico da validare. Ovviamente questa procedura non è per tutti, solo per i pochi amici del cerchio magico della torre normanna.
Nel salone al primo piano, sono ancora visibili una barca da pesca (residuo di mostre passate), il polistirolo incollato nella parete di fondo (residuo di una scenografia cinematografica degli anni ’90), e sparsi ovunque oggetti evocativi di banchetti e feste medievali. E mentre qualcuno usa la torre come spazio espositivo personale, il parco archeologico di Catania e delle Aci organizza eventi importanti e di alto profilo culturale, ovunque, tranne che a Paternò. Nessuna traccia di attività culturale di alto profilo, la torre è nelle mani di improvvisati curatori di mostre e artisti. In pratica la stanza dei giochi di qualche fortunato.
E un piano di manutenzione? Un progetto museografico? Un cartellone di attività culturali, artistiche e di ricerca? Nulla. L’impianto elettrico, illuminotecnico? Un anno fa, una delibera del Comune di Paternò – che non aveva titolo –individuava un percorso progettuale con fondi improbabili la possibilità di intervenire sulla torre, giusta autorizzazione verbale e impersonale del Parco Archeologico che intervistato non ne sapeva nulla. Un mistero. Tra qualche anno vedremo il progettista presentarsi con un debito fuori bilancio alla casse comunali (dovrebbe andare a chiedere al Parco, visto che è il proprietario).
Conclusione. Gestione fallimentare, l’unica nota positiva sono i due eroi (impiegati comunali) che si alternano per l’apertura della torre ogni giorno. Poi il silenzio totale, visite occasionali, turisti per caso, zero comunicazione e pubblicità, zero inserimento nei circuiti regionali, zero programmazione, zero in ogni cosa. Eppure, è il simbolo di questa città. Non vado oltre. Zero investimenti, ma è normale, la torre esiste solo nella mente dei paternesi. Eppure, il bene è della Regione Siciliana, ma poi spunta quella vocina dal fondo della sala che dice: ma la gestione è stata affidata al Comune di Paternò.
Ecco forse dobbiamo cambiare l’ente gestore, forse bisogna avvalersi di professionisti e non di dilettanti allo sbaraglio. Ci sono tanti esempi come “officine culturali” di Ciccio Mannino a Catania se vogliamo seguire la pista privata –magari con una manifestazione d’interesse, come si dovrebbe fare per tanti altri luoghi di questa città – oppure che la Torre ritorni nella piena disponibilità del Parco Archeologico per dare un senso a questo manufatto straordinario che rischia di crollare a causa dell’incuria e dell’ignavia. Intanto, per adesso, sarebbe già tanto svuotarlo dei relitti di mostre e feste che snaturano la sua dignità di bene culturale architettonico vincolato. Ha bisogno di un restauro non di festoni e fiocchi colorati.

“che la Torre ritorni nella piena disponibilità del Parco Archeologico per dare un senso a questo manufatto straordinario”, come quello dato alla ben più prossima basilichetta bizantina di Monte Po…