Sulla corsa a sindaco della città metropolitana di Catania si gioca il destino della zona etnea

Ci siamo. Le squadre sono quasi tutte in campo. Dopo pasqua, mancheranno circa due mesi per l’appuntamento elettorale più atteso, in questa parte della Sicilia orientale. La politica costruisce convergenze, apparentamenti e alleanze. Enzo Bianco (centro sinistra), Salvo Pogliese (centro destra) e Giovanni Grasso (M5S) sembrano i veri pretendenti. Una battaglia a tre, tra l’attuale sindaco, lo sfidante e outsider. Una battaglia tra specialisti della comunicazione, che devono incrociare le plastiche evoluzioni dello scenario nazionale – ancora incerto – con le tempeste regionali; per calibrare la giusta misura, nella narrazione del progetto politico metropolitano.

Sappiamo tutti che i candidati sono e saranno più di questi tre, ma sappiamo anche che la sfida vera è circoscritta a loro. Bianco punta sul civismo, Pogliese sulla professionalità e Grasso sul brand consolidato. Il primo elencherà quello che ha fatto (o pensa di aver fatto), il secondo quello che farà (cioè che proverà a fare) e il terzo ne farà una questione di differenze, (nel senso che lui è diverso da tutti). L’esperienza potrebbe premiare Bianco o Pogliese ma la voglia di novità può avvantaggiare Grasso. Tutto sul filo di lana. Una corsa avvincente che cambierà la geografica politica della città. Interessi, speranza, rivincite, sogni, opportunità. Porta a porta, sulla metro, in giro per i mercati e allo stadio. Dietro le telecamere e nei circoli politici. Tra il centro storico e le periferie. Una battaglia di comunicazione per meritarsi la fiducia dei cittadini. Poi intrighi di palazzo, mezze parole, promesse ma tutto questo sotto traccia. Le correnti, le cordate, i portatori di interessi. La città sarà divisa in target: anziani, pensionati, impiegati, imprenditori, associati, esercenti, comunali, parrocchiani, devoti tutti, pendolari e tra tutti questi, anche quelli che sarebbe meglio lasciarli perdere; perché quando si giocava tra guardie e ladri, loro non erano le guardie.

Sorrisi, pacche sulle spalle, funerali, inaugurazioni, passeggiate, conferenze, (mega) finanziamenti in arrivo, telefonate, database, strategie (Lombardiane, Cuffariane o Casaleggiane) ospiti d’onore e personaggi della politica dello spettacolo e dello sport in città a fare il tifo per l’uno o per l’altro. Cambiamento, innovazione, rivoluzione, riforma, rilancio, sviluppo, solidarietà, cultura, assistenza, infrastrutture ecc. ecc. ecc. Un enorme fiume di parole che invade ogni angolo della città, in ogni quartiere, in ogni parrocchia, in ogni scuola, in ogni azienda, anche alla fermata del bus e all’ospedale, persino dentro le università.

Da dopo le elezioni tutto sarà diverso. Tutto sarà nuovo. Tutto sarà bello. Ma nel frattempo dobbiamo ancora capire cosa succederà a Roma e Palermo. Cosa farà l’America e l’Europa. Israele e l’Iran. La Corea, La Cina e la Russia. Perché noi non siamo più soli. Siamo glolocal.

Uno studio di qualche mese fa, pubblicato sulla La Lettura – inserto domenicale del Corriere della Sera – fotografava uno scenario futuro del pianeta, evidenziando che saranno le mega città, le città metropolitane, le grandi città del mondo a guidare le nazioni e non viceversa. Un modello interessante che prefigurava un ritorno alle polis greche intese come città stato. La città è il centro propulsore e sempre più catalizzatore di interessi e scenari trasformativi. Le grandi sfide del prossimo futuro saranno fatte nelle città, considerando i temi dei cambiamenti climatici, della ridistribuzione della ricchezza e della gestione dei neo migranti (non solo quelli di colore nero).

Una sfida in cui dobbiamo essere consapevoli. Realisticamente ed onestamente. Una sfida che deve essere affrontata con lungimiranza, pragmatismo ed etica. Il rischio è la lenta scomparsa della civiltà. Il rischio è che non c’è più nulla da raschiare dal fondo sia sul piano ambientale che finanziario.

Non è solo una questione di competenza e onestà ma anche di capacità di visione del futuro.

In questo possibile scenario, rifletto sul corpo elettorale con cui i candidati si confrontano. Sono solo i cittadini residenti dentro il perimetro amministrativo della città di Catania, i destinatari del progetto politico dei candidati? Catania può considerarsi solo una grande città, che confina con altre città autonome? Credo di no.

Credo che l’equivoco (provincia, città metropolitana ecc.) sulla reale forma e dimensione del progetto politico e sui reali fruitori-elettori sia da chiarire e servirebbe ridisegnare la sostanza della città metropolitana.

Quale è l’influenza degli abitanti di Paternò, Belpasso, Motta, Mascalucia, San Giovanni la Punta – e potrei continuare ancora – nelle elezioni del sindaco di Catania? Direi influenza diretta, visto che si lavora a Catania, si compra a Catania, si studia a Catania.

Cosa si aspettano questi cittadini adiacenti dal futuro sindaco? Sarà premiata la politica che ha accentrato tutto (risorse, interessi e opportunità) verso il baricentro Catania o sarà premiata la politica che decentra armonicamente verso le città-periferie della metropolis? Sarà premiata la politica che ha eliminato gli ospedali periferici per potenziare quella della città magnete?

Forse questi cittadini adiacenti non voteranno direttamente, ma influenzano il voto e tanto. Sposteranno il consenso verso quel candidato che capirà – che anche se non esiste attualmente una forma giuridica della città metropolitana di Catania – che è necessario cogliere adesso queste istanze. A partire dalle infrastrutture della mobilità (non solo per Catania), a partire dagli ospedali (non solo per Catania), a partire dalle università (non solo per Catania) a partire dalla cultura (non solo per Catania) a partire dagli investimenti sulla casa (non solo per Catania). Senza ingannare con le briciole, che spesso non hanno un nesso logico con le vere esigenze dei territorio o una visione organica, ma rappresentano semmai, una bandierina sullo scacchiere del principe di turno.

Il futuro sindaco deve raccogliere questa nuova sfida e assumersi le responsabilità politiche e culturali di questo prossimo futuro: la città metropolitana inclusiva, innovativa e solidale.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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