Sardine, la rivoluzione possibile dei pesciolini: i ‘masculini’ d’Italia vogliono che torni la politica

In Sicilia si chiamano “masculini” ma nel resto dell’Italia, il loro nome è “sardine”. Alla domanda, “cosa sono le sardine?” La risposta è: “un pesce, buono, dei nostri mari, salutare e a basso costo”. Almeno fino a ieri. Da qualche settimana, è un nuovo brand della politica italiana. Ormai, non possiamo più citare questo pesciolino, se non per significati politici. Immaginate dal pescivendolo che confusione; e meno male che in Sicilia possiamo dire masculini, perchè nel resto del Paese, per comprare questo pesce, lo si può fare solo indicandolo con il dito, guai a dire “voglio un chilo di sardine”, sarebbe imbarazzante.

Ora la questione non è tanto il nome dato a questo movimento “spontaneo” (quasi) ma le ragioni della sua nascita, il possibile sviluppo e le aderenze con altre realtà politiche. Sul nome credo che si possa parlare di genialità pubblicitaria. Semplice, allegorico, immediato, ironico, riproducibile e personalizzabile. Esistono già alcune varianti artistiche e fumettistiche. Forse è proprio questa la ragione del successo di queste ore. Ma torniamo alle domande iniziali.
Perché nasce? Ufficialmente per opporsi alla Lega di Matteo Salvini, con una manifestazione a Bologna, dove tra qualche mese, si svolgeranno le elezioni regionali per eleggere il governo dell’Emilia Romagna.

Quindi possiamo dire che le “sardine” nascono (spontaneamente) per manifestare il loro disappunto ad un soggetto politico e come per magia diventano un brand, che esplode in tutta Italia. Fin qui nulla di strano, ci può stare e dimostra la creatività e la vivacità dei cittadini, che democraticamente manifestano contro o a favore di un’idea. Quello che invece fa riflettere è il possibile sviluppo, l’evoluzione, o peggio ancora l’assimilazione o l’acquisizione, da parte di altri soggetti politici, già consolidati sul territorio che sono sempre più privi di idee e di credibilità. Quello che preoccupa è la polverizzazione dei rappresentanti delle idee. O peggio ancora l’aridità di qualcuno (i partiti/movimenti esistenti) che hanno bisogno di estemporanee manifestazioni per ritrovare entusiasmo mediatico.

La questione più grave è che la politica (istituzionale) non offre più idee a cui aderire; semmai propone guerre contro qualcuno o contro qualcosa. Come per le grandi idee, in campo aziendale, il rischio è che la multinazionale della politica acquisisca il nuovo brand per colmare un’apatia ormai strutturata in molti (tutti) partiti/movimenti. Infatti, i più furbi – organici alla politica, per mestiere – sono già pronti a dichiararsi sardine, vicini alle sardine, condividendo con esse, l’odio verso l’avversario di turno. Facile direi, troppo facile. Chi si accaparrerà i voti delle sardine?

Non escludiamo che le “sardine” diventino una nuova (ennesima) proposta politica oppositiva e detentrice delle qualità universali: liberté, égalité, fraternité; come tante esperienze simili, almeno fin quando non si deve governare. Ma cosa genera questa tensione, questo desiderio di svincolarsi dal coro? La consapevolezza che il panorama politico italiano non offre più gli spazi per il dibattito e il confronto; la consapevolezza che le idee sono inutili per acquisire il consenso popolare e che “urlare”, come tifosi accecati, verso un probabile avversario, è più comodo. Non c’è più nemmeno, un dibattito interno ai partiti, una corrente che si propone come alternativa interna, solo la polverizzazione e la moltiplicazione di “generali” con sempre meno truppe al seguito.

Identificarsi con una parte politica è sempre più difficile, per le incongruenze, per le contraddizioni, per i conflitti d’interesse e per i toni; spesso urlati, vendicativi e tirannici. “Se non sei con me, qualunque cosa dico, sei contro di me”, amen. E allora nascono sardine, gilet gialli, tutti per la famiglia, tutti per gli animali, tutti per l’ambienti, tutti per qualcosa; perché nel frattempo i partiti stanno a guardare e a raccogliere i consensi fluttuanti.

C’è poi la questione delle promesse elettorali, tradite, accantonate, mistificate. La necessità di essere sempre nel giusto, dalla parte di Dio e con il Popolo. L’esigenza di scaricare le responsabilità sempre all’opposizione, ai nemici, ai complotti, ai traditori; escludendo il valore del confronto (anche interno) del dibattito (anche con le forze di minoranza) e la possibilità che la politica è prima di tutto, mediazione tra le idee, che devono avere come obiettivo prioritario il benessere della collettività e non la persecuzione di una parte.

Le sardine nascono (forse) anche perché la politica (convenzionale) ha bisogno di organizzazioni parallele per esternalizzare le idee, quelle buone che aggregano tutti: tipo tutti contro qualcosa o qualcuno. I partiti mantengono i loro organigrammi gestionali, le loro linee politiche fluttuanti e accomodanti, in funzione delle necessità ed esternalizzano le ideologie, per poi sposare – successivamente – un particolare argomento o questione, dopo aver verificato l’efficacia mediatica e la risposta ai sondaggi. In questo momento le due tematiche aggregative sono: contro gli extracomunitari e contro chi è contro agli extracomunitari. Scusate il gioco di parole, ma era per rendere l’idea. Poi ci sono gli slogan più famosi: contro l’inquinamento, contro l’euro, contro le tasse, contro l’evasione delle tasse, contro l’Europa, contro…

Tutto cominciò con due noti personaggi a metà degli anni ’90. Quello che prometteva un milione di posti di lavoro e quello che diceva sempre “capra, capra, capra”. Due maestri della comunicazione. Da quel momento in poi tutto è cambiato e il Paese si è diviso in due. Una parte promette ancora qualcosa e l’altra risponde “capra capra, capra”.

Sta a noi scegliere, se essere identici al primo o al secondo, oppure esercitare la politica.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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