Città smarrite: atlanti scomposti di occasioni mancate

Città smarrite: atlanti scomposti di occasioni mancate

Le città stanno accumulando sempre più velocemente contraddizioni e criticità. Incompiutezze e straripamenti.

Città smarrite: atlanti scomposti di occasioni mancateMetamorfosi incontrollate, spinte da visioni estemporanee. Le città sono il luogo delle relazioni, delle stratificazioni, degli opposti. Spazi che si propongono come limiti fluttuanti e provvisori. Una ridondanza convulsiva di accadimenti personali, governati da “infanti stranieri”, da immaturi inconsapevoli, da governanti dalle vedute corte e dalle competenze annebbiate.
Le città perdono spesso la consapevolezza della propria identità. La capacità di autogovernarsi. La sensibilità di guardarsi da dentro everso gli ambienti lontani. Se da una parte, in altre discipline, abbiamo sviluppato procedure avanzate che governano i processi; in città, nelle città (urbane e naturali) siamo scivolati nell’improvvisazione. Da queste parte più che altrove.

Gli effetti di questa cultura, le conseguenze di questo modo di fare sono evidenti e sotto gli occhi di tutti. La metafora più ovvia è quella afferente alle cure del corpo umano. Non sarebbe possibile intervenire su una parte di esso senza prima analizzare l’intero organismo, individuando le criticità, i bisogni, le aspettative per poi agire puntualmente e diffusamente. Ma le città, o meglio, i governanti di città sembrano come impegnati a inseguire esclusivamente quel consenso effimero che illude e non consolida nulla. Ma una certa saccenza politica deride ogni cosa.

Città smarrite: atlanti scomposti di occasioni mancatePiano e progetto sono due modalità utili per governare le trasformazioni. Piano e progetto. Pianificare e progettare. Che presuppone analizzare e sintetizzare. Collezionando strategie e tattiche urbane, geografiche e territoriali. Un lessico che diventa sempre più desueto e poco praticato da chi ha responsabilità amministrative e politiche. Lo stato di perenne emergenza, di apparente pragmatismo, di utile opportunismo, guida e indirizza ogni cosa che per ovvie ragioni si trasformano in arroccamenti dialettici, imposizioni partigiane, ideologie cieche.

Le città stanno soffrendo di questa cultura del “fare senza fare”, condita da una comunicazione unilaterale senza diritto di replica. Pervasa da ostracismi, relativismi, edonismi e ambientalismi, aggiungerei narcisismi politici. Una comunicazione politica che punta sull’idea che chi governa ha sempre ragione e chi critica ha sempre torto, non produce crescita ma forme velate di “fascismo” di tipo novecentesco.
Ascoltare dovrebbe essere il primo gesto consapevole della politica. Ascoltare, analizzare, valutare, confrontare, agire e riascoltare. Sapendo fare, se fosse utile, anche marcia indietro. Ma per fare tutto questo è necessario una certa maturità culturale, un’esperienza disciplinare e tanto studio. “Studiare” è diventato un verbo portatore di significati negativi. Per fare tante cose non serve studiare, semmai urlare. La verità non deve essere proclamata ma esercitata. Non spiegata ma visibile ad occhio nudo (S. Agostino).

Città smarrite: atlanti scomposti di occasioni mancateIn questa città – Paternò – tra il fiume Simeto e l’Etna, dal nome antico, prima dedicata a Venere, poi alla Vergine Maria, protetta dalla Santa Straniera, (Barbara) e dalla bambina santa, Iulia Florentina, non rimane che prendere atto che nulla è verità. Una città smarrita, che colleziona occasioni mancate e finte verità urlate dagli altoparlanti di “mangiafuoco”. Circondato da una corte dei miracoli (dalla natura trasversale) che si muove cinicamente per accaparrare ogni bene possibile, prima della catastrofe.
Le occasioni mancate sono tante e molte di esse lo saranno per molto tempo. I contratti di quartiere, i grandi contenitori culturali, le Salinelle, l’ex velodromo, le tante aree rimaste incompiute, l’albergo Sicilia, la stessa acropoli (collina storica), il sistema di trasporto pubblico, la torre del municipio, il palazzo della protezione civile, iparchi pubblici, il paesaggio, gli acquedotti storici, il centro storico, le aree per lo sport, i servizi mancati nelle periferie, le risorse umane che lavorano al comune, gli strumenti di pianificazione, il deserto commerciale, le aree produttive, gli eventi culturali (non quelli improvvisati). Un elenco quasi infinito che ogni cittadino potrebbe implementare quando vuole.

Non serve un miracolo, nemmeno una Santa o Superman. Nemmeno poteri speciali. Serve solo pianificare e progettare con coerenza, onestà intellettuale. Serve una nuova generazione di amministratori e politici che creino discontinuità con la prassi consolidata dell’approssimatissimo, della superficialità e forse sarebbe meglio dire anche della “connivenza”. La città è smarrita, non ci sono “disfattisti”contro le verità urlate ma fatti critici evidenti che hanno bisogno di soluzioni razionali e immediate. La città si spegne piano piano. Diventa un’enorme periferia che scimmiotta, mostrando un abito vecchio e stracciato che puzza di peste.

Città smarrite: atlanti scomposti di occasioni mancate

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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