
Dal blitz anti-caporalato eseguito dai finanzieri del Comando provinciale di Catania, che hanno arrestato il rappresentante legale e il direttore commerciale di un noto supermercato di Biancavilla, accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e autoriciclaggio, è emersa «una situazione di estremo stato di bisogno economico, comune a tutti i dipendenti».
A dirlo è il procuratore di Catania, Francesco Curcio, spiegando che gli impiegati del supermarket, «pur consapevoli delle violazioni e della evidente non corrispondenza alla contrattazione collettiva e alla normativa di riferimento del trattamento loro riservato dal datore di lavoro (quanto a retribuzione, a orario di lavoro, riposo e ferie), avevano accettato dette condizioni in ragione della situazione di grave difficoltà economica e della necessità di far fronte alle spese dei rispettivi nuclei familiari, non avendo altra valida alternativa».
Insomma, «tra la possibilità di non percepire alcuna fonte di reddito e quella di subire sfruttamento lavorativo – osserva il procuratore -, non avevano potuto fare altro che accettare e subire questo ultimo». Dagli accertamenti è emerso che buona parte dei lavoratori veniva impiegata per circa 65 ore settimanali (a fronte di contratti che prevedevano un impegno di 40 ore settimanali), fruendo di soli due riposi settimanali al mese. Le paghe nei casi più gravi si sarebbero attestate a 1,6 euro l’ora con stipendi mensili di 7/800 euro per i giovani. «Lo stato di bisogno dei dipendenti – dice ancora il procuratore Curcio – ne avrebbe limitato la libertà di scelta, incidendo sulla libertà di autodeterminazione a contrarre e inducendoli ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose e illegali in quanto non consentite né dalla contrattazione collettiva né dalla normativa giuslavoristica».
I finanzieri avrebbero accertato che nuovi dipendenti, in servizio da un anno, non avrebbero mai fruito di ferie. Inoltre, ad alcuni lavoratori, sin dal momento dei colloqui propedeutici all’assunzione, sarebbe stata chiaramente rappresentata la divergenza tra previsioni contrattuali sulla carta e il contenuto effettivo del rapporto contrattuale, senza alcun margine di trattativa ovvero «con l’inequivoca indicazione – conclude il procuratore di Catania – che l’accettazione di quelle condizioni lavorative risultava essere condicio sine qua non dell’assunzione e che, quindi, nessuna assunzione sarebbe avvenuta se non a quelle specifiche condizioni, cui i dipendenti si impegnavano non avendo alternative lavorative da poter percorrere».