Psg-Inter, la partita dei sentimenti nascosti: una storia che andava raccontata

Psg-Inter, la partita dei sentimenti nascosti: una storia che andava raccontata

La partita è finita, una delle due squadre ha vinto.

Straripante, nel punteggio e nel gioco. Due squadre che rappresentano due città europee, di proprietà di due gruppi economici lontani dal vecchio continente. Due squadre piene di giocatori di tutto il mondo, ricchi e famosi. Sulla carta rappresentano Parigi e Milano, ma ci sono pochi francesi e pochi italiani. Due squadre straripanti di talenti, dalle mille storie, sogni personali che diventano realtà, per la gioia dei tifosi.

PSG e Inter hanno concluso la competizione calcistica più prestigiosa d’Europa, nella nuova formula, sempre più emozionante. Si sono sfidate le due squadre più forti, dopo una stagione faticosa che ha visto sfiorire, lungo il percorso, tante big del calcio. Onore a chi ha vinto e a chi ha perso. Lo sport è così, dolce e spietato.

Ma sono le storie dei singoli che stanno dietro ogni evento di questa portata. Sono le vicende umane, piccole o grandi che governano una partita, una performance, una battaglia. Le lacrime di alcuni protagonisti di questa serata di calcio memorabile sono sotto gli occhi di tutti. Dei giocatori, degli allenatori, dei tifosi, della gente che guarda in TV. Lacrime di gioia e di tristezza, lacrime che ricordano altri dolori o altre gioie. Una festa dei sentimenti, un tributo all’umanità, fragile.
Conta poco vincere o perdere alla lunga, conta esserci e averci provato. A celebrare una liturgia che si ripete sempre con le stesse movenze, gli stessi rituali. Ma la mente riporta tutti a qualcosa, a qualcuno. La figlia che non c’è più, la moglie scomparsa da poco, la mamma, i ricordi dell’infanzia. In un attimo, dentro quello stadio colorato di Monaco, tutti hanno qualcosa da ricordare, da celebrare, da esorcizzare. Riti scaramantici, segni nascosti dalle telecamere e tattiche, strategie, furberie.
Metafora della vita, e chi vince e chi perde, sa benissimo che da domani si ricomincia a combattere. Perché le vittorie e le sconfitte sono solo una tappa verso la consapevolezza di sé. Mai la conclusione di un percorso. Verso una forma di felicità matura, senza fronzoli e superficialità. Dietro ogni gesto, ogni sguardo, ogni lacrima versata sulla terra bagnata di sudore c’era una storia che forse andava raccontata.

Non sapremo mai cosa hanno nascosto i volti dei protagonisti, ma sappiamo che le fragilità dell’uomo trovano per un istante il palcoscenico per apparire al grande pubblico. Poi ci sono quelli che stanno dietro la TV, in poltrona, in compagnia a e soli con la propria vita. Quelli dietro una radiolina, mentre lavorano alla stazione di servizio, al bar, in caserma. Tutti appesi a un filo, tutti a sperare nel goal, nel tiro a effetto, nella parata della vita.
Il calcio è uno degli sporti più belli al mondo, imprevedibile, inatteso, indecifrabile. Come quel primo pallone del PSG mandato in fallo laterale nel campo avversario. Errore? Tattica? Un messaggio? Poco importa, ciò che conta è l’emozione, il pathos, il sentimento che annebbia la vista.

Uno, due, tre, quattro e cinque. Chi non ha smesso di giocare e chi non ha smesso di sperare.

L’una e l’atra a viso aperto. Si poteva perdere per uno scarto minore, una delle due ha deciso di perdere senza rinunciare a provarci. Questo è lo sport. Provarci fino alla fine. Per combattere l’inerzia della partita, per provare a dare una svolta. Sapendo che c’è sempre una partita dopo da giocare.
Si vince poco e si perde tanto. In genere. Ma questo non significa che non dobbiamo giocare. Questo non significa che siamo un fallimento. Dietro questa vittoria, il PSG, ha collezionato tante sconfitte. Utili per essere felici di questo successo.
Nel campo, ieri sera a Monaco, sembrava esserci una bambina in campo a piantare una bandiera a centro campo. Tra gli striscioni, sugli spalti, c’erano messaggi rivolti a chi non c’è più: padri, madri, figli, piccoli eroi. Tutti a guardare una palla che rotola sul tappeto verde. Una magia, una festa. Quante storie dentro quel rettangolo di gioco? Quante storie dietro i televisori nel mondo? E adesso tutti a parlare dei fenomeni del PSG, del crollo dell’Inter. Forse sarebbe bello parlare di questi piccoli eroi del calcio che hanno onorato questa liturgia, compresi i rimpianti, la tristezza, la nostalgia per i successi del passato. Che importa, il prossimo anno è un altro campionato. Si ricomincia, come nella vita. Ci si prepara meglio, si analizzano gli errori, si trovano nuovi compagni, si pianifica il gioco. Si rigioca per vincere, per esserci. E le storie di tutti torneranno silenziosamente in campo, invisibili agli occhi, ma percepiti dal cuore di uomini e donne sensibili. Chi pratica la guerra, dovrebbe imparare qualcosa dal calcio, da queste feste di sport.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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