Catania, lezione di teatro di Daniele Salvo: “Città e Comune collaborino di più”

Catania, lezione di teatro di Daniele Salvo: “Città e Comune collaborino di più”

Giunto alla sesta  edizione, Amenanos Festival a Catania, ha portato quest’anno in scena, nel mese di maggio, due rappresentazioni classiche prodotte dall’Associazione Dide, patrona del progetto che ha l’ambizione di restituire alla città di Catania, ai suoi cittadini e ai turisti che la visitano, la meraviglia del Teatro greco-romano, unico in Sicilia per essere incastonato fra gli edifici del centro storico e unico al mondo per essere attraversato dal fiume sotterraneo che scorre sotto la città, l’Amenano, da cui il nome della manifestazione.

I testi in questione sono stati Medea, nella versione di Seneca, e Le Baccanti di Euripide con un grande cast che ha visto il ritorno a Catania di Melania Giglio, ed, entrambe, con la regia di Daniele Salvo.
Daniele Salvo, uno dei più grandi interpreti e registi del panorama internazionale, dalla carriera gloriosa, ci ha ‘regalato’ un’intervista nella quale ci ha lasciato un preziosa lezione.

IL TUO TEATRO E’ STATO INQUADRATO COME UN TEATRO VISCERALE, VISIONARIO. TU COME DEFINIRESTI IL TUO APPROCCIO ALLA REGIA?
Diciamo che visionario è la parola giusta credo perché quello che cerco di fare è trovare la carica visionaria nei testi stessi. Non sovrapporre ai testi delle cose arbitrarie ma fare affiorare in filigrana le intenzioni dell’autore, perché credo che il vero regista sia l’autore e quindi detesto tutte le attualizzazioni o gli inserimenti arbitrari. Il regista può fare delle scelte, ovviamente, però sempre in relazione al testo. Nel mio lavoro io cerco sempre di portare al massimo livello tutti i codici, cioè le luci, i costumi, l’azione. Questo è quello che si fa normalmente a Broadway, a Londra, a Berlino…
In Italia, invece, molto spesso si trascurano tante cose,  a cominciare dai suoni, dal lavoro sulla vocalità, sui registri. Secondo me la tragedia è la forma d’arte più contemporanea che ci sia di per sé; non necessita di attualizzazione ma bisogna trovare il modo di veicolarla al pubblico dei giorni nostri, un pubblico eterogeneo, fatto di turisti, di gente che è lì per caso, di professori, di critici, ma anche di persone che non sanno nulla di quello che vedono e quindi si devono emozionare, in qualche modo. E’ proprio l’emotività che rende la tragedia ancora rappresentabile.

TI SEI DEDICATO QUASI SEMPRE PER TUTTA LA TUA VITA AI CLASSICI, DAI GRECI A SHAKESPEARE, OGGI QUALE MESSAGGIO ESATTAMENTE NOI POSSIAMO DEDURRE DAL MONDO DEI CLASSICI?
I classici sono i pilastri della nostra cultura, nel senso  che sono eterni e i loro testi, che non sono mai datati, parlano sia al ragazzo di quindici anni che al vecchio di cento anni, perché il linguaggio di Eschilo, Euripide, Sofocle, Shakespeare, parla del nostro tempo, dei problemi eterni dell’uomo, dei conflitti, delle passioni, del tradimento, della rabbia. I classici si chiedono cosa è l’uomo, che poi è la stessa domanda che la Sfinge faceva ad Edipo.

NELLE TUE REGIE LA PAROLA E’ SEMPRE ACCOMPAGNATA DA UN IMPOSTAZIONE  FISICA, CON IMPATTO SONORO EVIDENTE, ANCHE NELLA BELLAMEDEA CHE HAI PROPOSTO ALL’INTERNO DELL’AMENANOS FESTIVAL. COME LO PENSI QUESTO EQUILIBRIO QUANDO COMINCI A LA VORARE SU UN TESTO?
Intanto per cominciare mi ricordo che l’uomo greco non è un borghese, e noi tutti siamo borghesi. Per un attore è difficile affrontare la potenza di questi testi e le loro temperature emotive. Noi non siamo più capaci di emozionarci, non ci muoviamo più come si poteva muovere l’uomo greco; infatti alle tragedie non è applicata la psicologia, oggi tutto quello che vediamo in teatro e al cinema è psicologico. Il metodo Stanislavskij  è un metodopsicologico. Alla tragedia non si può applicare questo metodo, perché la tragedia è corpo, voce, sangue, carne e, soprattutto, c’è un’amplificazione enorme dei mezzi che l’attore deve usare per affrontare questi testi, parlo della quantità di energia che l’attore deve impiegare per lavorare  per scolpire le parole per veicolare significati. Intanto la tragedia è pensata per essere vista dall’alto, in pianta e quindi tutte le reazioni devono essere sviluppate fisicamente nello spazio, la geometria è importantissima.
Il lavoro complesso comprende la macchina attoriale, lo spazio reso testo e tutti i codici dello spettacolo che devono essere in armonia.

HAI LAVORATO CON I PIU’ GRANDI ATTORI DEL TEATRO. TU COME LO COSTRUISCI IL RAPPORTO CON L’ATTORE, CHE TIPO DI LEGAME SI ISTAURA TRA TE E L’ATTORE QUANDO VI METTETE DI FRONTE AL TESTO?
Il regista deve cercare di avere una relazione emotiva con l’attore, perché si effettua proprio un transfert,  come in psicanalisi, e se questo non scatta è difficile che i risultati siano buoni. L’attore deve avere fiducia completa nel regista, non deve essere diffidente. Io lavoro molto sul linguaggio, anche per via della mia formazione alla scuola di Ronconi, sull’eviscerare dal testo, parole, frasi, ritmi, tempi, interlocutori, relazioni.
Come diceva Ionesco: “tutti gli uomini recitano tranne alcuni attori”. L’attore deve un po’ far finta, per essere un grande attore deve raggiungere tante verità.

QUANTO LI LASCI LIBERI?
Dipende dall’attore. Se è in difficoltà o se riesce ad arrivare alle cose. Molte volte mi è capitato di lavorare con grandi artisti che arricchivano e perfezionavano le mie indicazioni.

LA TUA ESPERIENZA COL GLOBE THEATRE CHE, SONO SICURA, HAI ANCORA NEL CUORE?
Sì, ho nel cuore sia il Globe che Gigi Proietti, un artista con una grande cultura. Il Globe era un sogno che purtroppo si sta infrangendo contro l’inerzia della politica romana; adesso il Comune sta cercando di recuperare in tutti i modi il teatro, che rimane ancora sotto sequestro per via dell’incidente in cui è crollata una scala. Come sempre in Italia quando si chiude un teatro passano vent’anni, trent’anni e lo vediamo con il Valle di Roma che ancora non è stato aperto. Fa male al cuore perché in Italia non abbiamo né il Berliner Ensemble, né la Commedie, non abbiamo un teatro che tuteli il lavoro sulla recitazione. In Italia c’è il culto della stranezza, c’è la gara a chi “lo fa più strano”, a chi spiazza di più il pubblico, un teatro narcisistico di esibizione performativa. Il Ministero non investe abbastanza sulla cultura e quindi gli esperimenti che vediamo sono piuttosto deludenti. Gigi diceva che la vera avanguardia è fare un testo dal primo al quinto atto, tutto senza tagliare niente, scontrarsi coi problemi e non cercare delle scorciatoie, usando il testo come pre- testo. Io in questo credo molto perchè oggi in pochi sanno lavorare su un testo.

ESISTONO ANCORA DEGLI SPAZI DI FELICITA’ IN ITALIA?
Pochi,  molto pochi. Senza investimenti l’interesse rimane relegato a un interesse di nicchia. Un tempo il pubblico veniva a teatro per vedere Ronconi, Strellher… Adesso non ci sono più maestri di quel calibro e soprattutto il teatro viene giudicato puro intrattenimento. Nel resto del mondo, da Broadway a Berlino, a Londra o a Parigi, il teatro fa parte del tessuto connettivo della società. Le prime pagine dei giornali, ad esempio il New York Time, hanno  la danza, la pittura o il teatro; la politica sta a p. 6…. I nostri politici sono diventati divi e i giornali parlano solo di loro.
Questo è un crimine.

NELLA TUA LUNGA CARRIERA TI E’ RIMASTO UN SOGNO DA REALIZZARE, UNA REGIA IDEALE CHE INSEGUI ANCORA?
Tanti sogni. Uno fra tutti è il Dottor Zivago di Pasternak. Ma ce ne sono tantissimi, tante tragedie greche, tanti testi di Shakespeare, Tito Andronico, per esempio. Solo che è difficile avere degli interlocutori che rispondono, che pongono attenzione al tuo lavoro. Parlo proprio dei direttori artistici.

LA TUA ESPERIENZA A CATANIA, IL TUO RAPPORTO CON AMENANOS FESTIVAL E CON LA SICILIA?
Sono stato in tanti luoghi, anche Segesta, Taormina, la Sicilia è un luogo incantato. Questo spazio di Catania è unico ma ha delle criticità che comportano difficoltà tecniche. Oltre al sostegno ricevuto dal Parco Archeologico, nella persona del Direttore Giuseppe D’Urso e dei suoi collaboratori, ci vorrebbe l’appoggio della Città, di tutti. Tutti dovrebbero lavorare nella stessa direzione e non fare sentire gli artisti indesiderati, perché questa è una cosa molto grave che mi fa faticare molto di più.

I TESTI CHE AVETE PORTATO IN SCENA QUEST’ANNO SONO DI STRAORDINARIA BELLEZZA, E LA SCELTA DIMEDEA DI SENECA E’ INUSUALE.
Medea è considerato un testo in-rappresentabile perché nasce come testo letterario, non è paragonabile al testo di Euripide, i bambini vengono uccisi in scena, per esempio. Un testo nero, efferato, era un po’ una sfida per me. Avevo già lavorato sul testo di Baccanti con la produzione di Dionysus col Vascello di Roma e poi a col Teatro di Stato di Costanza. Un testo inesauribile perché è un’analisi sul lato oscuro di ognuno di noi. Come Medea, che è la straniera che viene tradita con la rabbia che prende il sopravvento, l’assassina, la madre.. ci sono tantissimi aspetti in questi testi che sono attualissimi. La presenza di Dioniso ha a che fare con gli stati di alterazione più grave, la droga, l’alcool, e soprattutto la hybris perché Penteo è il prototipo dell’uomo politico vanesio, che pensa di fare tutto lui e non rispetta gli dei, né la morale. Anche questo di grande attualità.

IL RAPPORTO CON IL TESTO DI SENECA?
Ho mantenuto qualche passaggio in latino, ho tagliato in parte i cori che in Seneca sono la parte argomentativa di un filosofo stoico, e talvolta sono molto letterarie, pertanto ho dovuto ridurre, per dare potenza ai dialoghi.
N. d.r. All’interno della rappresentazione di Baccanti Daniele Salvo ha curato le scene e ha anche recitato, incarnando un Dioniso che si prende gioco degli uomini, con ghigno beffardo piega la volontà di Penteo ( molto convincente Michele Lisi) e manipola le invasate Menadi, fra le quali è emersa la potenza macabra di Melania Giglio (protagonista della Medea)  nei panni di Agave.

Loredana Pitino

Riguardo l'autore Loredana Pitino

Mater, magistra, mulier. Cresciuta dentro il Teatro Bellini che considerava il suo personale parco giochi. Appassionata di teatro e cinema, un tempo aspirante attrice, affamata di tutto quello che è arte e rappresentazione perché la vita è teatro e possiamo capirla solo con la lente della finzione. Docente maieutica. Malinconica come Pessoa, sognatrice come Fellini, cinica come Flaiano. Sempre in cammino, sempre senza meta. Illuminista, prof-letaria.

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