“Vite minori”, il libro-inchiesta di Raffaella di Rosa che dà voce ai ragazzi dimenticati
“Vite minori”, il nuovo libro-inchiesta della giornalista Raffaella di Rosa, edito dalla casa editrice il Millimetro, è un’opera che scuote le coscienze e ci mette davanti alle storie invisibili dei ragazzi reclusi negli Istituti penali per minorenni italiani. Una narrazione intensa, profonda, che affonda le mani nella realtà spesso nascosta dei più giovani tra i colpevoli, ma anche tra le vittime di un sistema educativo, familiare e sociale carente.
«Le storie contenute in Vite minori non sono facili da digerire» – scrive Gaia Tortora, figlia di Enzo, in un commento che accompagna l’uscita del libro – «Alcune lasciano un nodo in gola, altre ci spingono a riflettere. Ma una cosa è certa: non possiamo dimenticarle».
L’opera raccoglie le testimonianze di adolescenti entrati nel circuito penale, ma anche di chi lavora quotidianamente con loro: educatori, agenti, magistrati, medici, preti. Storie come quella di Bilal, baby rapinatore dodicenne oggi affidato alla comunità Kayros di Don Claudio Burgio a Milano, o quella della minorenne A., condannata dopo aver partecipato a un gesto che ha cambiato per sempre la vita di un coetaneo, sono solo due dei ritratti che emergono da un’Italia ignorata e sommersa.
Il volume, la cui prefazione è firmata da Enrico Mentana, direttore del Tg di La7, arriva in libreria in un momento in cui si torna a parlare di giustizia minorile. Dopo il Decreto Caivano, i 17 Istituti per minorenni del Paese risultano sovraffollati, tesi, spesso teatro di rivolte. “Vite minori” non fa sconti: interroga il lettore sul senso di responsabilità collettiva, sul diritto alla seconda possibilità, sulla necessità di comprendere prima di condannare.
Tra le pagine emergono parole che restano impresse, come colpi alla coscienza. Eccone alcune:
- «Qui dentro entriamo che sappiamo fare un reato e usciamo che ne sappiamo fare molti»
- «Spesso li trattano come animali. Mio figlio ha avuto la scabbia, dormiva per terra»
- «Anche il carcere può sembrare un bel posto se fuori non sai dove stare»
- «Se lo S
