Esame di Stato: rito, passaggio, futuro. La scuola come porto della vita
Gli esami di Stato, meglio conosciuti come esami di maturità, si avviano alla conclusione anche quest’anno. Sono in tanti gli studenti impegnati a sostenerli insieme alle commissioni e alle famiglie. Un rito di passaggio, una liturgia necessaria, un adempimento indispensabile. Il risultato è “il pezzo di carta”, ma forse è molto di più.
È la conclusione di un percorso formativo, un viaggio iniziato da bambini che accompagna il discente fino alla sua tarda adolescenza. Un viaggio ricco di esperienze, prove, scoperte. Sono proprio gli ultimi cinque anni, quelli della scuola superiore, dei primi amori e delle scoperte di sé, a concludersi con quell’esame che diventa leggenda personale. L’esame che si ricorda per decenni, quello che non si dimentica mai.
Un esame che coinvolge commissioni, studenti, famiglie, scuola. Un’atmosfera surreale, un teatro che si ripete ogni anno. Ma è ancora necessario? È utile? Ha senso oggi esaminare ancora una volta chi è già stato valutato per cinque anni?
Le ipotesi di modifica si moltiplicano: radicali, innovative, spesso nate dall’esperienza di chi quegli esami li ha vissuti e fatti vivere. Oggi l’esame si svolge in tre giornate: prima prova scritta (italiano), seconda prova (materia d’indirizzo), e l’orale. Quest’ultimo prevede più fasi: discussione multidisciplinare, esposizione del PCTO (ex alternanza scuola-lavoro), riflessione in chiave di educazione civica, e infine la fatidica domanda: “Cosa farai da grande?”
Alla fine, tutti escono dall’aula con applausi, fiori, spumante, abbracci. Non importa il voto. L’esame è finito, la scuola è finita. È questo che conta. Dentro l’aula, invece, resta la commissione: sei docenti, tre esterni, e un presidente esterno. Il loro compito: decidere un voto che rimarrà addosso per anni.
Ma quel voto dice chi siamo? Rappresenta il nostro valore? È la fotografia di cosa eravamo o di cosa saremo? Potremmo cambiarlo questo rito?
Un’ipotesi: una tesi finale, come all’università, discussa con un relatore, costruita nell’ultimo anno, valutata da una commissione interna guidata da un presidente esterno. Un lavoro che raccoglie saperi, esperienze, proiezioni future. Un lavoro che rafforza l’autostima e misura la maturità vera. Il voto finale nascerebbe dalla media dei cinque anni più un bonus per la tesi. Una valutazione più umana, più reale.
La scuola superiore è una famiglia. Ti accompagna fino al porto. Ti saluta, ti dà una bisaccia piena di ricordi e speranze, e poi ti lascia partire. Lei rimane lì, con gli occhi pieni di lacrime, aspettando un giorno di rivederti, cresciuto, felice, libero. E con te, quel ricordo: l’esame che segna la fine di un tempo e l’inizio di un altro.
Docenti, studenti e famiglie vivono insieme questo spazio magico, questo confine tra adolescenza e maturità. E la nave salpa. Buon vento, cuccioli d’uomo.
