Dalla Sicilia un messaggio di pace: da Arafat a Pizzaballa la voce dei popoli in conflitto

Dalla Sicilia un messaggio di pace: da Arafat a Pizzaballa la voce dei popoli in conflitto

Dal premio Cisterna al Garitta, Antonello Musmeci megafono di pace, dà voce ai più prestigiosi personaggi del nostro tempo.

Nel pieno di guerre devastanti, distribuite in nevralgiche porzioni del globo, per il defunto e rimpianto Papa Francesco si tratta della terza guerra mondiale combattuta per plaghe, la Sicilia, ancora una volta, si segnala per manifestazioni artistiche declinate in richiami di pace, dispiegando la forza della popolarità e dell’influenza dell’intrattenimento, in favore della concordia dei popoli.
Strano destino ad accomunare due istanze tra loro distanti, eppure omogenee sul piano della consonanza, se, oggi, in anni di terrore, di sangue, di stragi e di genocidi, a impegnarsi in difesa dell’uomo e del destino del martoriato pianeta terra è il magistero della Chiesa, all’unisono con uomini e donne dello spettacolo.
Quando giorni or sono ricevetti il comunicato della conferenza stampa, convocata per la quarantasettesima edizione del premio nazionale Garitta, nel leggerne il titolo, Il mondo che vorrei, dedicato alle vittime di Gaza, fui colpito dal coraggio di affrontare la tematica sociale per antonomasia, nondimeno la più scottante, soprattutto, volli saggiare il mezzo utilizzato per diffondere il messaggio di pace. Corsi ad Acireale a sentire dalla viva voce degli organizzatori l’impostazione dell’evento.
A corredo della manifestazione, il talento di Antonello Musmeci, direttore artistico del Garitta svettò in quella occasione, sia nella selezione dei premiati quanto nella capacità di veicolare contenuti alternativi sul piano culturale, oltreché artistico, nella cernita delle interviste, nei collegamenti dalle zone colpite dalla guerra.
Con intuito talentuoso, Musmeci affidò il messaggio di apertura al patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, biblista di fama mondiale. Dal video messaggio del cardinale si evince in uno con la fede la forza e la perseveranza di stare dentro una catastrofe umanitaria con l’intento, attraverso la ricostruzione di macerie fisiche e morali, di recuperare il futuro di pace per due popoli, votati a destini di odio, di morte, di perenne conflitto.

IL MESSAGGIO DI PIZZABALLA

“Stiamo vivendo, qui in Terrasanta un momento complesso, molto difficile, come sapete. Quantunque non sia il caso di entrare nella cronaca, le morti non si contano, la mancanza di medicinali, la mancanza di cibo, la fame non sono una teoria sono una realtà concreta, purtroppo, che tocca migliaia e migliaia di persone, che sono colpite direttamente, in maniera mai pensata, mai immaginabile prima di ora. Tutto parla di morte, di odio, di distruzione, di violenza, sembra proprio una notte che non finisce mai. Sono molte le persone che non si arrendono all’odio. Tutti rimarremo qui, in Terrasanta e dovremo trovare un modo per ricominciare …  Le associazioni di tutte le fedi, insieme con i tanti volontari rendono concreta la speranza, mettendo in gioco la loro vita per gli altri. In questo anno del Giubileo, tanto distante dalla nostra attuale esperienza, il messaggio in esso contenuto servirà a dare forza alle diverse persone, qui rimaste per ricostruire un giorno, partendo da uno sguardo nuovo, capace di guardare oltre sé stessi. Noi come Chiesa dovremo essere lì, all’atto della ricostruzione dentro le difficoltà, le incomprensioni, dentro il dialogo, dentro la discussione, nella dialettica per portare un linguaggio che costruisce, che apre orizzonti, capace di gesti, le parole non bastano, tali da creare fiducia, vicinanza, empatia, amore. La pace non è miraggio … tutti assieme possiamo costruirla nel nome del Cristo risorto.”

Mai discorso più sintetico, altamente significativo, evocativo della indispensabilità della pacificazione in Terrasanta, aveva forato il video. In autunno, il premio Garitta sarà trasmesso sulle reti nazionali.
A monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della conferenza episcopale siciliana, toccò in sorte di ricordare al numeroso pubblico accorso a Santa Tecla alla manifestazione del Garitta, quanto i virus dell’odio portino distruzione, morte e infelicità, a differenza dell’amore, esso sì da diffondere in misura massiccia, indispensabile per conseguire l’armonia del creato.

Nella lunga, prestigiosa carriera di Antonello Musmeci, le visioni di lungo periodo, come l’esempio del Garitta 2025 dimostra,hanno sempre occupato il palcoscenico dei suoi spettacoli. Dei premi segnatamente.
Fin dal lontano 2002, quando al Cisterna d’argento, tenuto a Ragalna, Yasser Arafat, per la sezione uomini e società, fu insignito della menzione speciale. Nell’articolato della motivazione si può leggere, oggi a distanza di ventitré anni, la storia di due popoli, le vicissitudini di morte, di destini nefasti, contrapposti nel compiersi della tragedia, tali da scuotere le coscienze dell’Occidente del mondo. E non solo.
Al presidente dell’autorità palestinese.
È il cuore e l’anima di un popolo che cerca la sua identità. È l’uomo del mitra e dell’ulivo, della collera e della riflessione. È il leader carismatico che sposa le idee più rivoluzionarie di Bashir Gemayel e che più in là tende la mano a Rabin. Un Nobel per la pace e un desiderio perentorio, la Palestina ai palestinesi. Oggi, nonostante tutto, il mondo deve ancora fare i conti con la sua leadership, Arafat è l’acqua sotto l’alito del deserto dell’odio e della intolleranza.
Tra gli scroscianti applausi del pubblico presente, massicciamente accorso in quell’estate di tanti anni fa, esattamente ventidue, a riempire l’enorme piazza di Ragalna, a leggere la motivazione del premio assegnato a Yasser Arafat un giovane Antonello Musmeci, ciuffo al vento, voce limpida, senza inflessioni, del presentatore professionista. Accanto a lui, Maria Teresa Ruta. A ritirare il premio andò l’ambasciatore della Palestina in Italia, il compianto Nemer Hammad, il quale con poche, sentite parole attribuì la mancata venuta in Sicilia di Arafat all’assedio, usò tale vocabolo, meglio l’occhiuta vigilanza a cui era, allora sottoposto il Presidente dell’Autorità palestinese, ovvero il divieto a spostarsi dalla striscia di Gaza, impartito dal governo israeliano. Proseguì nel dire fosse la missione della vita di Arafat difendere la causa del popolo palestinese, a cui, gli israeliani negavano il diritto all’esistenza. Concluse, invocando la pace, senza la quale non può esserci sicurezza. E, affermando l’esigenza della giustizia, premessa di pace duratura.
In conclusione sarebbe da dire, dai, Sicilia, non mollare. Sei stata nei secoli culla di civiltà disparate, a volte confliggenti, riuscendo sempre a coltivare accoglienza, solidarietà, convivenza … quella tolleranza, grande assente nel mondo contemporaneo. E a insegnarla, a chi viveva nella barbarie dei conflitti.

Riguardo l'autore Angelo Mattone

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