Paternò, la politica senza avversario: la sfida di ricostruire dopo il commissariamento

Paternó, la politica senza avversario: la sfida di ricostruire dopo il commissariamento

Lo spettacolo deve continuare. In fin dei conti, morto il Re, viva il Re. Come se nulla fosse, tutti continuano nella loro quotidianità. L’arcivescovo invita alla riflessione, la Chiesa locale sollecita una presa di coscienza, la politica – con i suoi rappresentanti – esprime la frustrazione per il tragico epilogo delle vicende comunali. Intontiti, disorientati, sono in tanti a farsi domande sul futuro, su cosa succederà nei prossimi mesi. Alcuni partiti cominciano a incontrarsi, a interrogarsi, per capire le ragioni di questo momento (anche se si assolvono tutti). Sono le prime reazioni, forse ancora scomposte, certamente non risolutive e dagli esiti provvisori. Da destra a sinistra, si rimbalzano opinioni, ipotesi, nuovi e vecchi scenari. Comunque, se ne parla. Gli stessi protagonisti, (cercano) di riallineare le fila, di definire una strategia, anche se consapevoli che la nebbia avvolge ogni cosa. Il 2028 è veramente lontano.

Alcune cose sembrano già chiare. La prossima campagna elettorale non sarà contro il governo in carica, non sarà contro qualcuno a cui addebitare colpe specifiche. E questa è la vera novità. Bisognerà costruire un progetto su basi solide e senza alibi con la città e non nei laboratori di Frankenstein. Non sappiamo quale scenario politico troveremo tra quasi tre anni, non siamo certi di sapere chi saranno i protagonisti e manca quell’antico collante – per attirare seguaci – che è la concretezza fisica dell’avversario da battere, la comoda iconografia del candidato uscente. Al massimo potremmo citare le criticità del passato, addebitandole a convenienza a quello o a quell’altro. Ma tutto questo è indeterminabile. Può succedere di tutto. La politica deve fare un salto di qualità ed andare oltre questi stereotipi deviati.

I commissari dovranno “rieducare” una comunità. Aggiustare una tendenza, rimettere in ordine il caos, diventato invasivo e cancerogeno. Opere incomplete, luoghi degradati, regole stravolte, programmazione mancante, una comunità fragile e sfilacciata, il senso di precarietà che invade ogni cittadino, immerso nell’insicurezza urbana. Un ambiente inquinato, compreso l’amato fiume Simeto. Mentre in molti facevano silenzio. La mancanza di servizi essenziali, la mancanza di una prospettiva, la consapevolezza che sarebbe meglio partire per andare via.

E mentre gli attori principali di questa vicenda provano a darsi una mossa – anche se impacciata – il resto della città fa finta di niente. Dobbiamo dirlo con schiettezza, forse rudemente. Dispiace dover affermare che questa comunità, al massimo, è capace solo di pubblicare post sui social. Di condanna o di solidarietà verso i rappresentati della politica, ma solo attraverso la pratica del “leonismo da tastiera”. A dirla tutta, la stampa, in questi anni è stata la più coraggiosa, quella che ha provato a raccontare, attraverso le sue tante voci, la genesi di questa sconfitta collettiva.

Poche voci si sono levate in questi ultimi anni e pochi hanno trovato lo spazio e il coraggio di denunciare questa politica “benfatta” che ha storpiato la percezione della realtà. Pochi, perché in tanti hanno semplicemente approfittato delle devianze, facendo finta di nulla. Come quelle persone, che dopo aver goduto di pellicce, gioielli, viaggi esotici e macchine lussuose, si scandalizzano dell’arresto del loro partner, senza avergli mai chiesto da dove venivano tutti questi beni. Troppo facile.

Allora bisogna riflettere con senso critico. Come suggerisce il prof. Agatino Cariola in un suo intervento nel La Sicilia di qualche giorno fa, dal titolo “Scioglimento di Paternò, quella borghesi senza anticorpi contro le devianze sociali”. Il titolo è eloquente e individua una terza causa al malessere che attanaglia questa comunità, anche definita “città intermedia”. Allargherei il campo, la borghesia – spesso di derivazione “massariota”, come sosteneva Nino Tomasello – l’associazionismo e la macchina burocratica comunale.

Proprio così, questo esercito di personaggi, disseminati in tante scatole (spesso vuote), erano parte del sistema sotto accusa. È sotto gli occhi di tutti – per esempio – che se le associazioni avessero avuto un approccio più coerente alla loro missione, guardando a tutto tondo invece di fissare solo un’aiuola, si sarebbero create le migliori condizioni per rigenerare la città, per creare una rete vera e non virtuale.

C’è stata un’“aderenza culturale” – tra associazionismo e borghesia al governo della città – che ha generato equivoci, oggi nascosti dal silenzio. Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che abbiamo approfittato del momento, abbiamo collezionato tagli di nastro e foto sui social senza chiederci con chi fossimo agli eventi. Se le associazioni e la borghesia fossero state critiche e non appiattite sulle posizioni dominanti si sarebbe respirata un’aria più pulita in città. Ovviamente non tutte le sigle associative; ci sono tanti casi di coerenza – rimaste isolate – tra tanta confusione, e molte energie pulite che oggi andrebbero recuperate.

Qualcuno risponderà che le attività erano per il bene della città, che nessuno sapeva nulla, ma nella vita si deve scegliere, discernere, ponderare, valutare. Non si può dire adesso, io non sapevo, tra l’altro con una letteratura giornalistica piuttosto copiosa. Non si può piantare un albero sapendo che dietro l’angolo si tagliano cento alberi e stare zitti. Non bisogna aggiungere altro.

Quindi, le colpe di molte anomalie non si possono scaricare solo alla politica, c’è quell’esercito di persone, spesso dentro le associazioni, che stanno, ancora oggi, dietro le persiane, in attesa del prossimo giro, sull’altare del bene comune. È il momento di guardarsi dentro. È una questione di credibilità e di onestà intellettuale.

E che dire di quella popolazione avente il diritto di voto che resta a casa? Quel 60% di aventi diritto che hanno smesso di sperare, di dare un contributo, di essere cittadini attivi. Questa gente non distingue più la vittima dal carnefice, l’amministrazione-consiglio comunale dalle associazioni “amiche”. Che poi sono le stesse che adesso fanno silenzio. Che non aprono un dibattito politico interiore e di sistema. Che tentano di coprire la polvere sotto il tappetto.

Se si vuole fare un passo avanti bisogna ripartire dalla consapevolezza delle nostre responsabilità sulle criticità di questa città. Se vogliamo rigenerare il tessuto culturale e sociale bisogna essere coerenti. Se pensiamo che hanno sbagliato solo i politici coinvolti stiamo fuggendo dalla realtà. Serve un confronto comune, per individuare le cause di questo malessere sotterraneo che ci fa diventare recinti, perimetri, lobby. Le associazioni sono organismi politici e non partitici. Le loro azioni sono testimonianza di un’idea, di un modus, di un programma. Anche dalle loro azioni (politiche) vengono valutate. È il tempo della ricostruzione, ma non possiamo esimerci dal pentimento e dalla confessione. Siamo co-protagonisti di quello che è successo e non si vedono all’orizzonte i vincitori. Il rischio è che il silenzio sta diventando la colonna sonora della città e l’autoassoluzione una pratica diffusa.

Riguardo l'autore Redazione

1 Comments

  1. Questi 4 incompetenti e incapaci eletti per ben due volte grazie ai voti dei paternesi ignoranti e compiacenti hanno rovinato Paternò, hanno rovinato otto anni vita di tanti paternesi anziani, giovani e onesti Vergognatevi!!!!

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