La gip: «Per Grazia Santapaola la detenzione dei familiari non era un deterrente, ma un motivo per esercitare potere mafioso»
Lo stato di detenzione prolungato degli uomini della sua famiglia «anziché essere un deterrente» diventava «motivo per esercitare in modo sempre più palese il potere mafioso». È quanto scrive la gip di Catania, Anna Maria Cristaldi, nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Grazia Santapaola, 68 anni, arrestata dai carabinieri del Ros.
Secondo la giudice, la donna «travalicava il ruolo delle donne tradizionalmente esercitato in Cosa nostra catanese» e, «da destinataria della somma di denaro assicurata dagli affiliati in libertà, diventava portatrice degli interessi di un’associazione mafiosa di cui la stessa era parte».
Il racconto del collaboratore D’Aquino
Un quadro che trova conferma anche nelle dichiarazioni di Gaetano D’Aquino, ex reggente del clan Cappello e collaboratore di giustizia dal 2010. È lui a definirla «zia Grazia» e a tracciare un profilo netto: «Si è sempre collocata all’interno dell’associazione mafiosa, ancorando il proprio ruolo all’appartenenza alla famiglia di sangue».
D’Aquino aggiunge: «Ogni tanto le regalavo 500 euro perché si lamentava del fatto di non avere denaro sufficiente per fare il ‘pacco’ al marito. È una delinquente nata, nel senso che, a differenza delle altre mogli di mafiosi, non si è mai tenuta distante dagli affari illeciti, anche se non ha attualmente, per ciò che io so, un suo gruppo mafioso: non ci sono uomini che camminano ‘a suo nome’».
Secondo il collaboratore, Grazia Santapaola «si sente il sangue blu della mafia a Catania, ha vissuto la mafia in prima persona ed è orgogliosa del suo cognome».
