Sicilia, economia in controtendenza e politica al palo: il “magna magna” che frena la Sicilia

Sicilia, economia in controtendenza e politica al palo: il "magna magna" che frena la Sicilia

In costanza dell’esordio, giova citare, quantomeno riassumere gli indicatori economici nei quali, dal dopo-covid, si muove la Sicilia.

Dall’occupazione in miglioramento del 50% rispetto alla soglia precedente, nella fascia dei soggetti ricompresa tra i 20 e i 64 anni, alla complessiva crescita nell’ultimo triennio del 13,5%. Già in questi dati schematici sta la differenza con le rimanenti regioni italiane, il cui aumento generale degli occupati risulta residuale, per di più nelle categorie d’età avanzata. In più, nel caso della Sicilia si tratta di una costante progressiva, giacché l’inversione di rotta dura da quattro anni, in controtendenza con il Mezzogiorno e le rimanenti regioni, segnando al 2024, l’aumento di 174 mila occupati.

Anche il prodotto interno lordo eccede la soglia della media nazionale da almeno tre anni, superando le stesse prestazioni di Francia e Inghilterra in ambito europeo, registrando un +1,3% a conclusione del 2024. Ora, anche se la fase espansiva dovesse configurarsi in termini congiunturali, comunque circoscritta a una condizione di sviluppo ciclico, intercettarla per avviare un processo di espansione sostenuto e guidato, tale da colmare il divario strutturale e infrastrutturale tra la Sicilia e il rimanente del paese, non è un’idea da talenti dell’economia ma di naturale buon senso. Nella diligenza del buon padre di famiglia, suggerita dal codice civile, nell’espressione in quanto tale, rientra la valutazione elementare di assecondare il ciclo espansivo dell’economia siciliana, in contrasto palese con i ritardi strutturali, ricadenti sul reddito medio per abitante, tale da collocare l’isola agli ultimi posti in Italia per il reddito individuale, tale da ridare fiato e, soprattutto, gambe alla tenuta sociale.

Anche in questo caso non ci vogliono doti intellettive superiori per comprendere l’esigenza di approntare urgenti interventi nell’ambito delle politiche regionali, atte a implementare un processo espansivo con investimenti e misure fiscali poggianti sul dividendo, oggi in positivo, della Sicilia. Simile azione, congiunta con il piano nazionale di ripresa e resilienza, pari a 16 miliardi di euro sarebbe nella condizione di rilanciare l’isola.
Insomma, tanti cittadini si domandano perché la Sicilia rimane al palo malgrado nel lungo arco della storia, quantomeno dal Secondo dopoguerra a oggi, siano intervenuti fattori di consapevolezza degli errori commessi senza il conseguente ravvedimento?
Nel fornire una tra le tante spiegazioni ci sarebbe da attirarsiperlomeno il risentimento, quanto non la vendetta di cinici tornacontisti saldamente insediati all’interno dei gruppi dirigenti siciliani, segnatamente nell’intellettualità e nei circoli della politica di bassa lega, dove domina la mentalità tipica della visione tattica, del momento, delle cose fattibili qui e subito, bandendo la prospettiva strategica. Con l’aggravante della concezione pauperista della società siciliana, ereditata da una cultura di minorità, sostanzialmente legata a sensazioni ingiustificate, e pertanto inconsce, di marginalità. Che, se da un lato esiste ma è solamente geografica, sul versante opposto mostra risorse naturali ineguagliabili, capitali privati disposti al rischio d’impresa, spirito di intraprendenza individuale e di gruppo di spessore inusuale, in grado di superare i vincoli dell’arretratezza della mano pubblica. Innegabilmente la distribuzione della ricchezza nell’isola è iniqua, grazie al prevalere strabordante delle rendite improduttive, fondate su quella fondiaria in uno con la circolazione passiva di denaro derivante dalle professioni di risulta, quelle che assorbono ricchezza senza produrne.

In simile scenario, qualsiasi fenomeno fosse letto in proiezione, meglio in vista di rilancio dell’isola, diventa velleità, quanto non irrisione per i soliti soloni, taluni presunti economisti saldamente acquartierati dentro le università dell’isola. Infatti, una delle conseguenze del postmodernismo risiede nella divaricazione tra acculturati e incolti, i primi chiusi nella loro sicumera di avere il sapere in tasca, i secondi arrancanti per mettersi in tasca qualcosa di un ricco bottino prendono di mira le risorse pubbliche sempre più scarse, ma sufficienti a soddisfare i bisogni predatori del singolo.

Ahi serva Italia, di dolore ostello, aveva cantato Dante nel VI canto del Purgatorio. Nel mezzo dei due schieramenti stanno i cittadini, tanti di questi, circa la metà degli aventi diritto al voto, talmente disamorati da simile predazione, dallo sconcio offerto dai rapaci inseriti nel cuore delle classi dirigenti, millantatitali, da rifiutarsi di andare al voto.
Per mettere alla frusta i sostenitori di diseconomie e parassitismi,servirebbe un governo regionale attivo, soprattutto determinato nell’impiegare le risorse attualmente disponibili, sono tanti miliardi di euro, per rilanciare definitivamente l’economia della Sicilia.
Altro che Magna Grecia come modello culturale di riferimento, dove il bene pubblico era al centro degli interessi della collettività, qui tutto rischia di risolversi in un magna magna.

Riguardo l'autore Angelo Mattone

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