CATANIA – Il suo sogno era semplice e potente: arrivare in Europa, trovare una squadra di calcio e diventare un giocatore professionista, seguendo le orme dei campioni visti soltanto in televisione. Aveva vent’anni Abdelkarim Alla F. Hamad quando quel sogno si è trasformato in un incubo destinato a durare dieci lunghi anni.
Era il 2015 quando la sua vita cambiò per sempre. Da quel giorno Abdelkarim non ha più messo piede su un campo di calcio e ha trascorso la giovinezza dietro le sbarre di un carcere italiano, condannato a 30 anni di reclusione per concorso in omicidio plurimo e violazione delle norme sull’immigrazione, insieme a due compagni di viaggio e ad altri imputati per quella tragedia passata alla storia come la “strage di Ferragosto”: 49 migranti morti asfissiati nella stiva di un barcone stracarico.
Una condanna che, negli anni, è stata al centro di forti polemiche. Gli avvocati della difesa hanno sempre sostenuto l’innocenza del giovane libico, ritenuto un semplice passeggero e non uno degli scafisti. Anche le autorità di Bengasi, cinque anni fa, tentarono una mediazione con l’Italia, proponendo lo scambio dei tre amici condannati, tra cui Abdelkarim, giudicando la sentenza ingiusta, con i 18 pescatori di Mazara del Vallo sequestrati in Libia. Un tentativo rimasto senza esito.
Oggi, però, dopo dieci anni di carcere, Abdelkarim può tornare a vivere. Il suo nome figura tra i cinque destinatari del decreto di grazia firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, un provvedimento che riapre uno spiraglio di futuro a una vita rimasta sospesa troppo a lungo.
Il viaggio della speranza diventato tragedia
La storia di Abdelkarim inizia in una Libia devastata dalla guerra. Con due amici, anche loro calciatori, decide di partire per inseguire il sogno di diventare professionista. L’unica via possibile è una delle tante carrette del mare dirette verso l’Italia. All’insaputa della famiglia, paga mille euro agli scafisti di Zuwara, a ovest di Tripoli, come racconterà poi agli inquirenti.
Il barcone salpa il 14 agosto 2015. Dopo cinque o sei ore di navigazione qualcosa va storto. Nella stiva, stipata oltre ogni limite umano, 49 persone muoiono asfissiate. La tragedia viene scoperta quando l’imbarcazione, in difficoltà a 135 miglia a sud di Lampedusa, viene soccorsa. A bordo della nave norvegese Siem Pilot arrivano in Sicilia 313 migranti sopravvissuti e 49 cadaveri.
In un primo momento Abdelkarim viene ascoltato come testimone, poi, insieme ai due amici, finisce sotto inchiesta. Due anni dopo, la Corte di Assise di Catania lo condanna a 30 anni di reclusione. La sentenza viene confermata in appello nel 2020 e resa definitiva dalla Cassazione.
Una grazia che riapre il futuro
La grazia concessa dal Capo dello Stato non cancella la tragedia né il dolore delle vittime, ma segna un punto di svolta umano e giuridico in una vicenda che ha attraversato dieci anni di dibattiti, polemiche e interrogativi sulla gestione giudiziaria delle grandi tragedie migratorie.
Per Abdelkarim, che aveva lasciato la Libia inseguendo un pallone e un sogno europeo, si apre adesso una nuova possibilità di vita, lontano dalle sbarre di una cella e da un destino che sembrava ormai segnato.

Dopo la concessione della grazia gli daranno una medaglia d’oro al valore marinaresco e gli faranno una statua al centro di una piazza…e uno stipendio vitalizio