Linea guasta nel carcere di Agrigento: slitta il processo al boss Giuseppe Falsone
La linea telefonica del carcere Pasquale Di Lorenzo di Agrigento, dedicata ai colloqui tra difensori e detenuti sottoposti al regime del 41 bis, è guasta da oltre un mese. Un disservizio che ha avuto pesanti conseguenze giudiziarie: il processo a carico del boss Giuseppe Falsone, detenuto nel carcere di Spoleto, è stato rinviato di almeno tre mesi.
Il motivo? L’impossibilità per l’avvocato Barbara Garascia di conferire con il proprio assistito per valutare la strategia difensiva da adottare all’udienza preliminare. «Non è stato possibile parlare con il mio cliente e valutare il rito processuale», ha dichiarato il legale in aula, denunciando una palese violazione del diritto di difesa.
Il procedimento, che si svolge davanti al gup Emanuela Carrabotta del Tribunale di Caltanissetta, riguarda un’estorsione mafiosa risalente al 2004, quando Falsone era latitante. L’indagine, condotta dal pm Stefano Strino della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, coinvolge anche altri soggetti vicini al boss, tra cui Vincenzo Parello e i fratelli Schillaci.
L’accusa è quella di aver estorso 13 mila euro a un imprenditore favarese che stava investendo in un impianto di bitume a Sutera, in provincia di Caltanissetta. Falsone, all’epoca dei fatti rappresentante provinciale di Cosa nostra, avrebbe dato il via libera alla richiesta estorsiva, in un accordo tra province mafiose.
Il detenuto si trova attualmente nel carcere di Spoleto, ma la gestione dei colloqui è di competenza dell’istituto agrigentino, che ha comunicato per email l’impossibilità tecnica di garantire il confronto col difensore. Non è il solo intoppo difensivo per Falsone, già condannato a 22 anni di reclusione per aver continuato a gestire gli affari mafiosi dal carcere tramite l’ex legale Angela Porcello, oggi anch’essa condannata.
«Nei prossimi giorni scadono i termini per l’appello – aggiunge l’avvocato Garascia – e non è stato ancora possibile parlare col mio cliente per concordare il da farsi». Il timore, ora, è che il mancato contatto possa portare a ulteriori danni processuali e rappresenti una grave compressione del diritto alla difesa, anche per un detenuto al 41 bis.
