Trasfusione con sangue infetto, cartella smarrita: Tribunale di Catania condanna il Ministero
Il risarcimento di 77.500 euro al marito di una donna morta per i postumi dell’epatite C. La documentazione era andata perduta nell’ospedale.
CATANIA – L’impossibilità di produrre documentazione medica su un trattamento terapeutico non può essere imputata al paziente, ma alla struttura sanitaria responsabile della conservazione. È questo il principio affermato dal Tribunale civile di Catania, che ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere un indennizzo di 77.500 euro al marito di una donna morta per i postumi di una trasfusione di sangue infetto.
I fatti risalgono alla fine degli anni ’80, quando la donna fu sottoposta a trasfusioni in un ospedale di Catania. A distanza di anni la paziente contrasse l’epatite C, che degenerò in cirrosi epatica e adenocarcinoma, fino al decesso nel 2019.
Il marito, rappresentato dall’avvocato Silvio Vignera, ha presentato istanza di indennizzo ex Legge 210/1992 al Ministero della Salute. Tuttavia, l’istanza è stata respinta per mancanza della cartella clinica che avrebbe potuto dimostrare la somministrazione delle emotrasfusioni.
La documentazione risultava irreperibile, smarrita durante infiltrazioni d’acqua nei locali dell’ospedale. L’avvocato ha quindi presentato ricorso al Tribunale civile di Catania, che ha accolto la tesi difensiva e disposto il risarcimento.
“Siamo soddisfatti del risultato – ha commentato l’avvocato Vignera – nonostante la complessità del caso. Il Tribunale ha applicato un principio già riconosciuto dalla Cassazione: l’impossibilità di produrre documenti non può ricadere sul ricorrente, ma sulla struttura tenutaria che li ha persi”.
Determinante per l’esito favorevole anche l’ammissione della prova testimoniale. Per l’avvocato Vignera si tratta di una sentenza storica: «Apre la strada a nuovi ricorsi da parte di coloro che temevano di non poter ottenere giustizia a causa della mancanza di cartelle cliniche».
