Rapine, stupri, atti vandalici, sparatorie e forse tanto altro.
Sono il resoconto drammatico di questi ultimi mesi nelle città del territorio etneo. Sono il segno evidente di un malessere più ampio, la prova di una crisi economica, sociale e culturale che ha radici profonde. Il risultato del fallimento delle politiche urbane proposte dalle amministrazioni, amplificate dai processi di desertificazione commerciale e dall’isolamento di molte aree, diventate periferie.
Non è possibile individuare una sola causa. Le città sono diventate archeologie della socialità. “Non luoghi” che conservano solo le tracce sbiadite di una comunità che vive di malinconie, di ricordi, di tensioni improvvisate. Una guerra tra ateismi, egoismi, superficialismi, uniti contro i resti di un’umanità resiliente e resistente che viene privata ogni giorno di strumenti e opportunità.
Una società distopica e anarchica, dove non ci sono più regole e non si disegna più il futuro.
Improvvisazione e comunicazione. Slogan e propaganda. Una contrapposizione ossessiva e patologica di interessi famelici e spietati nei confronti dell’ambiente, della storia, della comunità, dei simboli della legalità. Pochi possono tutto e tutti possono poco. Una finta democrazia che si trucca di nuovo e si propone come matrigna delle giovani generazioni.
In questo contesto è più facile semplificare, utilizzando perimetri dialettici più funzionali alle ideologie del momento. Citiamo, solo per ricordare, che gli oratori, le palestre, le biblioteche, i musei, le associazioni e le sedi di partito sono sempre più deserti. In qualche caso anche inesistenti. Ne rimangono le tracce archeologiche, le insegne sui muri, e gli album di fotografie in bianco e nero. Alcuni li abitano, nella speranza di una rinascita, ma nessuno accende la fiamma e quei pochi che lo fanno sono “i pazzi”.
L’Arcivescovo di Catania, Luigi Renna, ha recentemente dichiarato che Agata, la santa, deve diventare la compagna di banco dei nostri studenti a scuola. Un’espressione semplice che irrompe all’improvviso nel silenzio che ci copre l’anima, come un tuono estivo. Esprime la necessità di uscire dalla logica simbolica e magica del culto della santa per attualizzare la sua testimonianza. Non è un messaggio di parte ma un appello a ritrovare sé stessi, anche come cittadini.
Ma la semplificazione mediatica e le necessità giornalistiche impongono una narrazione fatta di vittime e carnefici, individuati per tipologia e stile, possibilmente ideologizzata. Il vero assente in questa vicenda è il dibattito, l’analisi, il confronto. Tutto viene etichettato e brandizzato. Una foto, un titolo e basta. I cattivi rimangono cattivi senza attenuante, le vittime sempre vittime e dietro tutto questo teatro il grande pubblico, noi, chiamati a solo a indicare il verso del dito, verso l’alto o verso il basso. Come sempre tutto troppo facile.
Nelle città, di fatto, c’è il coprifuoco. Le piazze sono invase da extra comunitari (dalla pelle nera), spesso ubriachi e irregolari. La narrazione è semplice, ogni possibile reato è addebitato a questa comunità e spesso è proprio vero. Ma se guardiamo i numeri, per esempio negli ultimi mesi a Paternò, l’80% dei fatti delittuosi sono riconducibili agli stessi abitanti della città (zona parcheggio, scala vecchia, ecc.). Un dato che deve far riflettere
Che fine ha fatto la richiesta del Prefetto di Catania al sindaco per dare una soluzione al dramma di “Ciappe bianche”, dove gli extra comunitari vivono come “bestie”? (non ha chiesto di cacciali ma di governare la loro presenza) Chi vende l’alcol a questi disperati? Quali agevolazioni hanno – i disperati – dai loro datori di lavoro per i servizi resi, senza i quali morirebbe l’agricoltura? Dove dovrebbero stare questa gente dopo il lavoro? Nelle stalle, nelle celle, nelle grotte? Chi ha visto almeno una volta “Ciappe bianche” comprende cosa intendo.
Come si dovrebbe vivere nelle periferie di questa città – vale anche per le altre – dove le strade sono spesso sterrate, dove non c’è nessun campo giochi per i ragazzi e nemmeno biblioteche, spazi laboratoriali e museali. Dove le piazze lo sono solo sulla carta perché di fatto sono spianate senza identità. Cosa dovrebbero vivere le famiglie, gli anziani, i bambini, i portatori di handicap, senza servizi essenziali, senza prospettive, recintati in un quartiere o una città senza connessioni, senza eventi, cinema, teatro; spesso senza acqua?
Diciamo tutta, una città senza “bellezza” che sopravvive nell’approssimazione e nel qualunquismo, che si accontenta del nulla, che si è abituata al degrado come condizione ordinaria, non lascia spazio a equivoci.
Bisogna ricercare i colpevoli di qualunque colore ma bisogna andare in profondità e ricercare le cause reali e non quelle più comode, che ci assolvono dai nostri peccati. Gli slogan non bastano, nemmeno le foto sui social, nemmeno le sterili dichiarazioni ideologiche. La verità è che alcune città stanno diventando accoglienti del degrado, inclusive delle devianze, incubatori di bruttezza. In queste città, come Paternò per esempio, proliferano rapine, stupri, atti vandalici, sparatorie e forse tanto altro; dove l’80% dei fatti delittuosi sono riconducibili agli stessi abitanti della città. Un dato che deve far riflettere. Vogliamo guardare la realtà in faccia (la città non è più governata) oppure vogliamo illuderci che basta cacciare fuori qualcuno e torniamo la comunità che ha vissuto Roccaromana, il carnevale, la galleria d’arte moderna, la fiera di settembre, il teatro e il cinema e tanto altro? Vogliamo essere struzzi o contadini? Non servono ricette magiche ma il duro lavoro. Agata, compagna di banco e Barbara collega di partito. Esempi, non amuleti.

Ma credete che questo articolo sarà letto dal sindaco Naso (bis) dagli assessori dalla giunta dal consiglio comunale ?