Quello che dobbiamo chiederci non è perché dobbiamo avviare scavi archeologici sistematici sull’acropoli di Hybla Major a Paternò, ma perché non sono stati fatti fino ad ora.
La vera domanda è capire le ragioni che hanno determinato il disinteresse a ricercare le tracce dell’antica città. Eppure, negli anni ’70 furono effettuati scavi sistematici – durante la realizzazione dell’ampliamento del cimitero monumentale verso la valle. Anche prima, negli anni ’50-’60, i lavori di sbancamento della collina storica per realizzare il tornante e il santuario della Consolazione, fecero emergere un ricco patrimonio, che purtroppo è scomparso. E gli stessi “argenti di Paternò” conservati a Berlino sono l’ennesima prova di un giacimento archeologico che andava indagato e studiato.
Eppure, non c’è stato mai un interesse preciso. E non sono bastati i ritrovamenti occasionali in relazione agli scavi emergenziali a partire dagli anni ’80-’90 fino ai giorni nostri. A nulla sono serviti gli scavi del 2007 adiacenti al convento di San Francesco e a quelli del 2016 delle Salinelle. Ogni volta che si parla di scavi archeologici a Paternò, molti sono scettici, perplessi, quasi ironici. La Venere di Perri e la lamina greca – recenti scoperte – non sono oggetto di mostre, pubblicazioni e presentazioni. Solo silenzio.
E sono tanti gli archeologi sollecitati a intervenire, a scavare, a studiare questo paesaggio straordinario che è l’acropoli (tutti la chiamano collina) ma in pochi rispondono, qualche volta esprimono un certo interesse e poi spariscono. Come se scoraggiati da qualcosa o qualcuno. E rimane un grande mistero il deposito degli scavi di piazza Ungheria a Paternò, conosciuto come museo Savasta. Abbandonato?
Su questo deposito bisognerebbe fare degli approfondimenti, come verificare la sua tenuta ai furti, chi lo frequenta, cosa contiene, come valorizzarlo. In quel deposito dovrebbe esserci non solo la venere di Perri (2007) ma tanto altro. Magari si dovrebbe aprire agli studiosi, alle scuole, invece di tenerlo eternamente chiuso, tranne chissà per chi e per cosa. Con la Carta di Catania, promossa tra l’altro dall’ex Soprintendente Rosalba Panvini, si potrebbe finalmente aprire al pubblico questo tesoro nascosto. Ma un alone di mistero avvolge tutto e il silenzio copre ogni cosa. Chi è complice di tutto questo?
E sarebbe utile sapere perché i reperti prima esposti al Paolo Orsi – fino a dodici anni fa – sono stati collocati nei depositi dello stesso museo. Perché sono stati rimpiazzati con i reperti di Adrano? Un visitatore che esplora il settore C del museo siracusano troverà poche testimonianze – al contrario del passato – di questa città millenaria che qualcuno prova a nascondere. Ma perché? Ragioni antropologiche? Culturali o legata agli interessi dei ladri di memoria che non gradiscono i “ficcanaso”. Qualcuno ha interessi in altri siti invece di Paternò? Ricordiamo ancora lo stupore di alcuni studiosi regionali che consideravano questi scavi una perdita di tempo, meglio destinare i fondi ad altre città. Che strana coincidenza.
Eppure, dopo tanti sforzi, le risorse per avviare gli scavi sono state trovate, da quasi un anno sono disponibili per immaginare un primo, vero, scavo ragionato di una parte dell’Acropoli. Ma tutto sembra come fluttuare. In altre città, ogni sassolino è presentato come una grande scoperta, si scava ovunque, ma qui non decolla nulla. Le risorse ci sono, le normative lo permettono, gli archeologi sarebbero pronti, ma c’è sempre un ostacolo, un impedimento, c’è persino chi tifa per il fallimento dell’operazione. Il Presidente dell’Ars Gaetano Galvagno ha trovato le risorse, ma sembra – vogliamo sbagliarci – che “questo scavo non si deve fare” (espressione manzoniana). Opposizione politica? Sarebbe veramente deludente. Sprecare uno sforzo legislativo e finanziario per nulla, privando la città di un’opportunità. E sarebbe ora.
In questi giorni, stanno provando a sbloccare un processo ordinario, visto che finalmente ci sono le condizioni e gli archeologi disponibili ad avviare, per la prima volta, uno studio serio sul sottosuolo dell’acropoli, ma ancora una volta, serpeggia la volontà di evitare, scoraggiare. Eppure, è chiaro dove e come scavare. Gli studi fatti, le ricerche condotte dimostrano la necessità di intercettare l’urbanità del sito. Sono evidenti le testimonianze urbane greche, quelle romane, i sistemi idrici, le strutture templari, le strade di accesso (mascherate da muretti di proprietà). E la fortuna è che gli scavi si possono iniziare a partire dai siti di proprietà pubblica, senza grossi problemi di espropri. Quindi perché non ripartire dallo scavo 3 del 2007? (sparito dalla letteratura specializzata).
Università, CNR e associazioni hanno dato la loro disponibilità a dare un contributo, sono pronte. La regione Sicilia e la Soprintendenza deve facilitare questo percorso. Ora serve stappare, eliminare il tappo che ostruisce la verità ormai da anni, che ha oscurato ogni cosa con una narrazione mirata ad esaltare la natura medievale della città. Negando la complessità e la stratificazione dell’acropoli di Hybla Major. Il Consiglio Comunale del 1885 ha sepolto la città greco-romana con il cimitero ed era facile pensare all’assurdità di questo gesto. Recentemente, un politico autorevole, conoscitore dei labirinti psicologici ha fornito una interpretazione diversa da quella più ovvia: quel gruppo di aristocratici e politici dell’’800, attraverso la scelta di realizzare il cimitero hanno di fatto salvaguardato l’intera collina storica, evitando che diventassi la zona edificabile più appetibile per i cittadini, lasciando una grossa parte di essa disponibile agli scavi successivi. Questa visione nuova riabilita quegli uomini, ma nello stesso tempo, responsabilizza questa comunità a dare oggi il via a una stagione nuova, quella dello svelamento. L’assessorato regionale ai Beni Culturali ha la possibilità di cambiare il verso della storia. Questa comunità ha l’occasione di ripartire da una bellezza e non dal degrado che la sta asfissiando. Forse la valorizzazione dei reperti conservati nel deposito di Paternò dovrebbe essere una priorità, per presentarla alla comunità scientifica, tutta la comunità. Non solo pochi fortunati che possono entrare quando vogliono nell’oscurità. La politica e gli studiosi hanno una grande responsabilità, oggi più di prima. Le condizioni sono propizie e le convergenze acclamate. Serve l’ultimo metro, anzi l’ultimo “piede”.
