La città e la Santa. Quell’appartenenza alla comunità da riscoprire

Santa Barbara a Paternò

Sul significato e sull’opportunità di promuovere le processioni sacre, si possono intraprendere mille sentieri. La dimensione antropologica della festa – come Santa Barbara in questo caso – è oggetto di questa nostra riflessione. Ritorniamo quindi – sollecitati dai clamori delle ultime ore – sull’evento culturale e religioso più importante della città di Paternò.

La santa patrona ha catalizzato negli ultimi anni, un’attenzione particolare da parte di politici, opinionisti, cultori delle tradizioni, cittadini, giornalisti, religiosi, devoti e tanto altro. Sembra quasi che l’approvazione del bilancio comunale, faccia parte delle stessa festa, e il dibattito a seguire – sulle modalità artistiche e religiose dei festeggiamenti – diventa il terreno di scontro/confronto in città. Come per la nazionale di calcio, siamo tutti commissari tecnici e tutti esperti in strategie politiche pre-bilancio; in tattiche consiliari; in feste barocche e “varette” varie. Ovviamente i social sono lo spazio virtuale del confronto tra oppositori e propositori.

La festa è prima di tutto un evento collettivo religioso e antropologico, in cui la comunità si riconosce, o si dovrebbe riconoscere. Un particolare paesaggio fatto di suoni, di riti, di tradizioni che si tramandano, esaltando il senso di appartenenza della popolazione a questo territorio e alla sua memoria. Le stesse ragioni che determinano la dedicazione alla santa patrona, sono riconducibili a fatti tragici collettivi, che vengono risolti – nella dimensione immaginifica – dalla capacità di essere comunità compatta e devota e con lo sguardo trascendente rivolto verso lo stesso orizzonte. Il popolo, affronta e risolve il dramma della vita, (l’evento straordinario) attraverso l’intercessione, che si concretizza solo nel momento in cui la comunità si identifica unitariamente. La processione e il gioco di luci, fuochi e musiche (festa barocca) sono il patto che la città stipula per sancire l’unità. Il fluire – tra le strade e le piazze – del simulacro è il rinnovo di questo patto che determina l’essere comunità e il variare del percorso – negli anni – è l’estensione ai nuovi cittadini di questa alleanza urbana.

La nostra società “fluida” e destrutturata mette a dura prova il senso di socialità e solidarietà che caratterizzava le nostre comunità contadine. Processi di “sindacalizzazione” e il proliferarsi di individualismi, rendono aspro il confronto e i processi di coagulazione sociale. In pratica ogni individuo è un partito a se. Ogni associazione è portatrice di una verità. Ogni comunità è in competizione con le altre comunità. Individualismi culturali, politici, partitici persino parrocchiali.

Tutto questo accelerato, esaltato e amplificato dall’ipervelocità dell’obsolescenza nei rapporti umani che consumano velocemente i patti collettivi, proponendo accordi di tempo breve, bilaterali e finalizzati al raggiungimento di obiettivi personali. Non esiste più una comunità – come quella medievale – che concorre alla realizzazione della cattedrale, che decide di trasformare il paesaggio urbano e rurale per sostenere la comunità, per fare città. (A. Lorenzetti, Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo).

In questo senso i luoghi del confronto bilaterale sono i social (facebook, ecc.). Spazi della comunicazione stridente, bilaterale, gognesca in cui – dietro la protezione di una tastiera, che ci protegge dall’esposizione – si consumano veri e propri drammi sociali. Uno strumento meraviglioso per capire e comunicare che diventa il tempio del personalismo e dell’individualismo. L’uomo sente l’esigenza di costruire la sua personale cattedrale e non contribuire a quella di tutti.

Piazze, strade, vicoli. Scenografie, prospettive, scorci, visioni. Leggende, miti, storie. Sono il palinsesto che si stratifica nella città degli uomini. Sono il luogo dell’esperienza tattile, sonora, visiva. Sono il paesaggio della memoria e del futuro. La festa ci riporta a questa dimensione umanizzata. L’incontro, i ricordi, i sapori e lo stupore. Camminare a piedi per la festa, vestirsi a festa, il pranzo della festa e tanto altro. Sentirsi comunità, attorno al “disparo”, guardando le luci, pregando al passaggio di un’icona tutti insieme. Il rinnovo del patto tra l’uomo individuo e la sua comunità per affrontare il male. La piazza diventa il teatro di questo patto. La strada è il percorso tortuoso e faticoso che ci riporta alla comunità unita. Musica, luci e fuochi. Una festa che ci ricorda chi siamo. Tutte le culture, tutte le città hanno una processione, una festa, un momento in cui rinnoviamo il nostro essere comunità solidale e impegnata nel raggiungimento della salvezza (lavoro, pace, amore e salute).

Adesso che scrivo, sento in lontananza la banda che suona e penso al vecchio maestro della banda, all’amico architetto/musicista, alle luci delle bancarelle, ai miei figli che vivono in questa città, alla mia famiglia che prepara il pranzo della festa e alla mia donna. Penso a Santa Barbara, ai fuochi di mezzanotte e all’acropoli che sogno di vedere viva. Questa è la festa e questi sono i paesaggi della condivisione collettiva.

Siamo capaci di riscoprire il senso del progetto comune? Siamo capaci di stupirci? Siamo capaci di riconoscere che siamo parte di una comunità? Siamo capaci di essere consapevoli che ognuno contribuisce con i propri saperi e che la somma dei saperi determina la costruzione della cattedrale?

Qualche volta vedo il panettiere che fa il farmacista, il fabbro che imita il macellaio, il postino che si diletta a fare l’architetto e il teologo che gioca a fare il manager. La fabbrica medievale è un modello da riscoprire. Un progetto comune a cui tutti contribuiscono per la proprie capacità. Forse internet ci ha illusi che potevamo diventare medici solo consultando il web. Non è così.

La comunità deve riscoprire il senso del progetto comune. Rinnovare il patto tra i singoli e la collettività. Rigenerare i luoghi fisici del fare città. Incontrarsi, parlarsi, confrontarsi nelle piazze, nelle strade, nei vicoli e stupirsi vedendo i fuochi, le luci e la musica che ci riporta alla bellezza, alla felicità.

La crisi dei partiti ha determinato la crisi della politica e del confronto dialettico. Riportiamo il dibattito nell’agorà e costruiamo convergenze. Forse è questo il senso della festa. Delle feste. Rinnovare il patto tra gli uomini, l’universo e gli dei. W Santa Barbara.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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