Belìce, 50 anni dopo il terremoto. Mattarella: “Sopravviva l’identità”

La Valle del Belice 50 anni dopo il terremoto che la sconvolse nella notte fra il 14 e il 15 gennaio. Oggi il cuore delle iniziative organizzate dal coordinamento dei sindaci, con la presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, giunto intorno alle 11 all’Auditorium “Giacomo Leggio” di Partanna, dopo essere stato accolto da una folla all’esterno. Dopo i saluti istituzionali, tra cui quelli di Nicola Catania, sindaco di Partanna, e coordinatore dei sindaci della Valle del Belice, e del presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, la consegna delle “targhe alla memoria” di personalità che si distinsero in occasione del tragico sisma per l’aiuto prestato alle popolazioni terremotate.
Tra i presenti, il ministro alla Coesione territoriale Claudio De Vincenti, i sindaci della valle e l’assessore regionale ai Beni culturali Vittorio Sgarbi, che fu sindaco di Salemi, uno dei Comuni del territorio.
“Chiunque sia stato pesantemente colpito da un terremoto – ha detto Mattarella – può testimoniare come le scosse e la catastrofe che provocano – accanto ai lutti e ai danni materiali – lascino tracce irreversibili negli animi. La memoria di ciò che è accaduto non si separa più dal vissuto di ciascuno. Non è stato diverso nella Valle del Belìce che qui, oggi, ricorda le sue tante vittime, l’accidentato percorso della ricostruzione, la fatica accompagnata al tormento delle scelte di vita personale e di quelle complessive delle popolazioni colpite. Non è stato facile, non è facile per nessuno”.
Al disastro naturale in questi centri, ha proseguito il Capo dello Stato “si aggiunse un ulteriore danno sociale, che non si riuscì a evitare, e che toccò famiglie e comunità, con episodi di emigrazione verso il Nord Italia e verso l’estero che coinvolsero migliaia di siciliani.          Un ulteriore dissanguamento per queste terre”.
A mezzo secolo di distanza, per il Capo dello Stato “si misura qui come non basterà mai, nelle tragedie della natura, la lena dei soccorritori, la generosità dei donatori, l’impegno delle istituzioni, la laboriosità dei cittadini, a colmare un vuoto, a ricostruire l’anima di un luogo, a indicare un futuro”. Tutto questo è indispensabile, reca sostegno e sollievo, “ma rappresenta una premessa, per quanto preziosa. Al centro delle esigenze non può che esservi la determinazione di adoperarsi per la sopravvivenza delle identità, della cultura del luogo colpito”.
La risposta elaborata da parte delle pubbliche autorità, ha spiegato Mattarella, “intendeva essere ambiziosa: non solo provvedere alla semplice ricostruzione delle case e dei paesi distrutti, ma avviare, altresì, politiche di sviluppo che valessero a sottrarre la Valle del Belìce alla sua condizione di ritardo”. Questo alla base del decreto legge varato dal governo Moro il 22 febbraio successivo all’evento. L’equilibrio tra funzione dello Stato, funzione della Regione, ruolo ed effettiva partecipazione alle scelte da parte della popolazione locale, per Mattarella, “non si è sempre composto in modo armonioso e positivo, gravando sulla efficacia degli interventi”. Profonde le trasformazioni: interi paesi riedificati in nuove aree, con architetture e scelte urbanistiche figlie di visioni nuove, “talvolta con l’aspirazione ad affidare all’arte la ricerca di una identità proiettata verso la modernità”. Accanto alle rovine abbandonate, a villaggi fantasma che si stagliano all’orizzonte, si sono aggiunti, “non senza sofferenza, centri abitati della ricostruzione, luoghi nei quali non è sempre stato facile riconnettere i legami delle collettività così duramente percosse, ricollocandovi appieno le identità perdute”. Accanto ai ruderi – “monito permanente”: è doloroso separarsi dai simboli in cui ci si riconosce, il campanile, il palazzo del Comune, che hanno marcato una appartenenza” – la memoria collettiva “si nutre del Museo voluto a Santa Margherita Belice, nella chiesa madre, con l’obiettivo di testimoniare l’immagine e i valori di questa terra”.
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