Il padre attraverso gli occhi del figlio: Kafka, Sbarbaro e Ledda a confronto

Attraverso la letteratura poeti e scrittori esprimono la varietà dei sentimenti. Tra i temi più diffusi vi è quello dell’amore: per la donna amata, per la famiglia, per la patria, molte sono le produzioni poetiche e narrative che celebrano l’amore per la madre, al contrario sono pochi gli autori che scrivono del padre. Tra questi, Franz Kafka, Camillo Sbarbaro e Gavino Ledda hanno dedicato parole toccanti al padre, animati da sentimenti contrastanti, dovuti ai diversi rapporti con il padre.

Franz Kafka, attraverso ricordi d’infanzia, descrive il suo rapporto con il genitore nella “Lettera al Padre” (scritta nel 1919 e pubblicata postuma nel 1952). L’autore comincia la lettera parlando della sua paura nei confronti del padre, causata dal suo carattere rigido ed esigente: “E’ vero, non mi hai praticamente mai picchiato. Ma le tue grida, la tua faccia paonazza, le bretelle slacciate e tenute pronte sulla spalliera della sedia, erano quasi peggio”. L’uomo viene descritto come ostile, incapace di dare affetto e indifferente alle esigenze del figlio. Da quest’opera emergono sentimenti di odio e di timore che non si placano nemmeno negli anni della maturità, vissuti con un doloroso senso di colpa per essere stato un figlio deludente e inadeguato.

Al contrario, il poeta Camillo Sbarbaro, nella sua poesia “Padre, se anche tu non fossi il mio” (dalla raccolta di liriche Pianissimo, 1914), descrive il genitore come un uomo ricco di umanità e sensibilità. Un episodio da cui emerge il carattere benevolo del padre è quella in cui minaccia di punire la figlioletta ma, quando si accorge della paura che le stava infondendo, la abbraccia e la consola. Dalla poesia traspare un sentimento di amore puro nei confronti del padre che va oltre il legame di sangue: “Padre, se anche tu non fossi il mio/ Padre, se anche fossi a me un estraneo,/ fra tutti quanti gli uomini già tanto/ pel tuo cuore fanciullo t’amerei”.

Una testimonianza, a tratti drammatica, è quella offerta dallo scrittore sardo Gavino Ledda. Nella sua opera autobiografica “Padre Padrone” (1975) descrive un padre autoritario, che porta al pascolo il suo gregge, sostenta la famiglia ed è incapace di affettività. L’autore ricorda la sua infanzia: dopo solo pochi mesi di scuola fu costretto dal padre a ritirarsi per dedicarsi alla pastorizia, “E’ mio – dice – ne ho bisogno in campagna.” Il padre profondamente ignorante non si rende conto di mortificare le aspirazioni del figlio. Ma il sentimento di Gavino Ledda nei confronti di quell’uomo, inconsapevole vittima di pregiudizi e stereotipi secolari, è un sentimento di pietà e comprensione.

L’analisi di questi tre differenti ritratti, testimonia come l’intensità emotiva con cui viene vissuta la relazione con il padre lascia tracce profonde, forse indelebili, nella formazione della personalità dei figli.

Rachele Fichera, Alessia Calì e Maria Angelica Giordano, 5^CP

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