Convegno a Gravina su “Violenza nei luoghi di lavoro”: “Imparare l’autodisciplina”

Organizzato dalla FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professione Affari) sezione di Gravina di Catania e coordinato dalla Presidente Luisa Leonardi, si è tenuto nella Sala delle Arti del Comune il convegno su “La violenza nei luoghi di lavoro”. Domenico Rapisarda, sindaco della cittadina etnea, ha salutato gli intervenuti dichiarandosi onorato di poter contribuire all’analisi di un tema così attuale e sentito dalla pubblica opinione. Luisa Leonardi introducendo i lavori, ha auspicato che la messe di informazioni e di opinioni che i relatori offriranno ai presenti possa essere d’auspicio per una maggiore comprensione del deprecabile fenomeno. Angela Battista, responsabile del coordinamento donne della CGIL di Catania, si è soffermata sulle criticità che uno strisciante – a volte inconscio – misoginismo, pone ad un sereno svolgimento del rapporto di lavoro per le donne costrette a subire salari ridotti rispetto agli uomini e demansionamenti in conseguenza delle assenze dovute alla gravidanza. Ha proseguito la dott.ssa Serafina Strano che ha ripercorso l’aggressione che ha subito nei mesi scorsi mentre prestava servizio notturno alla guardia medica di Trecastagni da parte di un energumeno che le ha usato violenza per due ore consecutive, lamentando come a tutt’oggi l’azienda sanitaria non abbia approntato alcuna iniziativa di protezione passiva (videosorveglianza, guardia armata,) e di come lo Stato ancora non le riconosca lo status di vittima sul lavoro. Per ultimo ha preso la parola l’avvocato Matteo Licari docente di Sociologia dei Gruppi e Relazioni Industriali che, dopo aver rassicurato sulle migliorate condizioni generali del fratello Luigi aggredito a colpi di casco in testa per aver impedito l’accesso a due ragazzi in scooter in via del Rotolo a Catania, ha spiegato che la violenza è figlia dell’aggressività che è una delle due pulsioni  (l’altra è quella sessuale) che hanno garantito la prosecuzione della nostra specie: attraverso l’aggressività è stato possibile difendere la prole e il cibo per millenni. Nelle società complesse la violenza senza disciplina invece porta alla dissoluzione della società stessa, per questo lo Stato si fa garante del suo uso a fini di pubblica utilità e ne interdice la pratica ai singoli. L’affiorare della pulsione violenta è dunque insita nella natura umana ed il luogo privilegiato di esercizio è all’interno dei gruppi, qualsiasi gruppo, da quello a due (la coppia per esempio) a quelli fatti di moltitudine (la folla degli stadi per esempio). E’ proprio nei gruppi che la persona impara l’autodisciplina della propria aggressività ed a riconoscere gli altri come soggetti portatori di pari dignità e pari diritti. Naturalmente non sempre prevale l’autodisciplina. In questo senso i luoghi e i gruppi di lavoro sono tutti uguali. Il luogo di lavoro ha una specificità di fondo rappresentata dai due soggetti che lo compongono e il cui rapporto di forza è squilibrato per natura: da un lato c’è il datore di lavoro (soggetto forte) e dall’altro il lavoratore (soggetto debole). Il conflitto, detto verticale, che ne nasce è disciplinato certo dalle norme dello stato e dai contratti, ma naturalmente non eliminano le ragioni psichiche e sociali del conflitto stesso. A questo s’aggiungono i micro conflitti fra i singoli membri del gruppo, detti orizzontali. Una delle cento manifestazioni possibili dello scontro di potere all’interno dei gruppi di lavoro che sfociano nella violenza riguarda le donne in quanto tali. La violenza fisica e psichica che le donne subiscono negli ambienti di lavoro aumenta con il diminuire delle tutele della prestazione lavorativa. In questo senso la recente riforma chiamata Jobs Act, con la sua forte precarizzazione del rapporto di lavoro, rappresenta una legittima fonte di preoccupazione per una non auspicabile recrudescenza del fenomeno. Il convegno s’è concluso con l’ordinata serie di domande dell’uditorio rivolto ai relatori.

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