LA MEMORIA DEL CUORE / Le arance “zucchero e miele” dei nostri giardini di marzo

La memoria
Che il rapporto col mio progenitore siculo fosse caratterizzato da alcune sommarie incomprensioni nell’arco di una vita, è cosa risaputa. Tuttavia ciò che mai avrei immaginato sarebbe stata la reazione graniticamente critica del suddetto padre in tutte le occasioni di pubblicazione dei miei articoli su questa rubrica. Ogni particolare è stato occasione di revisionismo storico e di discussione familiare per definirne parametri e indicazioni. Mi sovviene di ribadire che i ricordi appartengono al soggetto “ricordante”: i sassi restano bianchi e il terrazzo profumato di bucato (le Madeleine proustiane subirono forse le stesse vessazioni? Qualcuna si sarà pur bruciata… ), e allo scrittore si riconosce il diritto all’utilizzo dell’immaginazione. Il rigore filologico infatti non attiene a questo ambito. Sebbene le continue critiche di mio padre abbiano tentato di minare la mia autostima e sicuramente messo a dura prova la mia capacità di sopportazione, però la giornalista che è in me ha dovuto capitolare di fronte alla notizia. Il creativo progenitore infatti ha preso carta e penna e mi ha fornito l’esatta definizione del termine da me usato “zuccheroemiele”. L’epigrafe recita: “le arance tarocchino del nonno sono frutto di un particolare innesto a 450mt sul livello del mare che maturano a metà marzo. Da queste caratteristiche traggono il loro colore e soprattutto l’ineguagliabile sapore. Tanto buone da essere da lui definite zuccheroemiele”.
Ecco. Potere del ricordo: un filo inesauribile di memorie che legano generazioni, ognuno col suo personalissimo sapore, diventano imperdibili occasioni per annullare le distanze tra la beatitudine un po’ nostalgica dei ricordi dal sapore “zuccheroemiele”.
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