Liscia, gassata o dal basso? Riflessione sulle nuove modalità di governo nelle democrazie di confine

In questi giorni, seguendo le questioni nazionali – come la formazione del Governo con le sue dinamiche morfogenetiche – e alcune relazioni “scientifiche” – all’interno di convegni locali – mi viene voglia di proporre al lettore, alcune riflessioni sull’ormai tema del secolo: la partecipazione dal basso.

Non è un territorio dialettico facile e certamente i “profeti” di tale pratica storceranno il naso da subito. (si staranno già irrigidendo). Tenteremo ugualmente di inerpicarci in questo spazio conflittuale, sperando che l’ironia del lettore possa reggere l’urto. In fondo il nostro compito è sollecitare il dibattito critico.

Il punto è, che da qualche tempo, in ogni dichiarazione – di politici, accademici, tecnici ecc. ecc. – si condisce il discorso – qualunque sia l’argomento – con la più classica delle espressioni retoriche: partecipazione dal basso, processo partecipativo, patto dal basso e scelte dal basso e progetti dal basso.

Ora dico io. Ma che significa dal basso? E siamo sicuri che è la cosa giusta?

Mi chiedo invece, se la partecipazione dal basso non sia una pratica (democratica), la cui declinazione diffusa non abbia superato i confini della convenienza e dell’opportunità.

Oppure per esempio che non sia una liturgia collettiva, gestita qualche volta con malizia, per manipolare le masse e indirizzarle verso scelte lobbistiche pre-costituite.

Certamente tale dispositivo genera aggregazione sociale intorno ai temi più vari. Quindi è funzionale alla creazione di spazi di micropotere che si nasconde tra le pieghe del volontariato. Per dirla tutta, chi governa la partecipazione è referente di un interesse specifico e diventa per questo il “rappresentante” politico.

Ormai chiunque, per rendere credibile le proprie idee – dichiara che il pensiero proposto è frutto di un processo partecipativo. Quindi non ha bisogno di verifiche politiche, tecniche e scientifiche. E’ autoreferente (ex Dio lo vuole, ora Noi lo vogliamo).

Se pensiamo a quelle organizzazioni politiche che fino a ieri usavano lo streaming per rendere “partecipativa” la loro azione e oggi invece lo mettono in soffitta (almeno cosi sembra), per gestire più utilmente, l’intimità delle stanze parlamentari.

Se pensiamo a tutte le “riunioni” pseudo segrete (a cura dei cerchietti magici) che fanno da incubatore ai processi partecipativi; cioè prendono le decisioni e determinano le alleanze per poi chiamarle “processo partecipativo”.

Se pensiamo a tutte quelle organizzazioni che fanno e hanno fatto della partecipazione uno strumento per moltiplicare organismi partecipativi autoreferenziali; cioè hanno creato – come le scatole cinesi – contenitori che contengono altri contenitori, creando l’effetto 100 associazioni sul territorio che vogliono la luna nel pozzo (per poi scoprire che a 100 associazioni corrispondono 100 presidenti, che corrispondono a 100 soci, che non vanno nemmeno alle conferenze). Ma l’effetto mediatico è dirompente. Il numero è impressionante. E poi tutte le associazioni – come per mistero, senza conflittualità emergenti – determinano scelte ovviamente partecipative dal basso. L’importante è quello che viene pubblicato dalla stampa e non altro.

Con questa prassi si può gestire e fare di tutto: predisporre una candidatura politica futura, gestire persino incarichi professionali e appalti (ovviamente dal basso, quindi sani e legittimi); determinare scelte strategiche rilevanti (fatte da pochi ma presentate dal basso).

Recentemente è emersa quella storia della mafia dell’antimafia, prima o poi emergerà qualcosa di simile e scopriremo che dal basso c’è poco (qualcuno lavora di lato e di nascosto).

In un convegno ho persino sentito che a fronte di questioni delicate di ingegneria idraulica e vulnerabilità sismica, non è necessario rivolgersi agli specialisti per definire le strategie d’intervento, basta “sentire la gente” per decidere dal basso e proporre “piantine, panchine e murales” qua e la per risolvere tutto.

Ma se l’avesse detto un medico? Immaginate di essere in una sala operatoria e il chirurgo comincia a determinare le sue scelte dal basso.

Scusatemi, ma vorrei anche una partecipazione dall’alto e qualche volta anche di lato (alla luce del sole). Per capirci, questa storia della partecipazione dal basso andrebbe rivisitata e contestualizzata. Magari esercitata con più eticità ed equilibrio. Io ho un sospettoStiamo vivendo una fase delicata sul piano sociale in cui non c’è più l’assunzione di responsabilitàCresce l’autoreferenzialità (ogni socio è l’unico socio e presidente) dei singoli che non rappresentano più un gruppo omogeneo (politico, culturale ecc.) e la conflittualità interne vengono risolte a monte dai decisori occulti.

Un medico, un politico, un architetto, un preside, un panettiere, uno scienziato, uno scrittore, un giornalista, un educatore, prende delle decisioni e si assume le responsabilità, rispetto alla collettività. Si espone al giudizio collettivo nel bene e nel male. Ma se tutti fanno tutto e il risultato è mitigato dall’espressione: va beh, sarà brutto ma è una scelta dal basso! Non c’è assunzione di responsabilità. Per farla breve se le scelte (principalmente tecniche e strategiche) vengono dal basso a cosa servono le professioni e le competenze?

Per rigenerare uno spazio urbano – per esempio – servono la signora Peppa e la signora Sara, due alberelli, un murales e il gioco è fatto. A cosa servono i progettisti, quelli che hanno studiato per anni, che impegnano la loro vita a progettare lo spazio, che si aggiornano, che si confrontano in convegni ecc.; a cosa servono gli artisti, gli urbanisti, gli architetti, gli scienziati, i filosofi, i poeti, i politici (quelli che prendono decisioni), bastano due alberelli (dal basso); bastano le associazioni (dal basso); tutto dal basso e poi l’applauso finale che tutto rende credibile. In fin dei conti per il dissesto idrogeologico e la vulnerabilità sismica possiamo aspettare, per i progetti, quelli fatti dai progettisti possiamo aspettare, serve solo la partecipazione dal basso e non altro.

E’ triste come ormai per nascondere il vuoto si usi l’espressione “partecipazione dal basso”. Quando non si hanno contenuti, le scelte sono dal basso. E’ triste che nessuno abbia il coraggio di dire come stanne le cose. Continuando così sarà tutto dal basso, al punto che non vedremo più le cose alte: le cattedrali, le stelle, i pianeti, i fuochi di artificio. Vedremo tutto come i nani, dal basso. Partecipare significa condividere le scelte, costruire – a partire dalla conoscenza – una strategia che sia utile per la collettività, non che strumentalizzi la collettività.

Vi prego. Liscia, gassata o dal basso? Io direi dall’alto, di lato e dal basso. Ad ognuno la propria responsabilità.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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