Il Silenzio, nel mezzo di una verità per rigenerare l’anima

La nostra è una società rumorosa. Sguaiata e invadente. Ci trascina spesso nei vicoli del conflitto verbale, tra agguati, trappole e inganni. Si urlano tante verità, nascoste da veli di ipocrisia e di malizia. Una società di provocatori seriali. Bande dell’inganno che tessono le fila di un discorso macchinoso, fatto di ferro e fuoco.
E allora si parla, si parla, per essere lodati e riveriti. Per essere parte di questo fiume che scorre nell’alveo, già segnato, di un’idea. Qualche volta servirebbe il silenzio. Dentro questo paesaggio surreale, dove ci si ritrova soli e sospesi, dove le idee si fanno pesanti come le pietre, “parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni, è considerato come una specie di prostituzione della parola e dell’anima” (Benedetto XVI).
 
Il silenzio diventa la condizione essenziale per rigenerare l’anima.
Il silenzio come spazio tra le parti. L’intervallo contemplativo che riordina le idee, che ricolloca – nello spazio della verità – la nostra esistenza. Pausa e non assenza. Riflessione che non è fuga.
Il silenzio ha lo stesso corpo del suono e condivide con esso la dimensione del tempo. Suono/rumore e silenzio sono parte della stessa armonia. Funzionali alla stessa aria musicale che non potrebbe esistere senza una delle due parti. Suono e silenzio. Pieno e vuoto, segno e significato, forma e astrazione. Immagine e pensiero. … “Tutto è pace e silenzio, e tutto posa / il mondo, e più di lor non si ragiona”. (da La sera del dì di festa, di Giacomo Leopardi)
Ma il silenzio è anche isolamento. E’ discriminazione e marginalità. Il silenzio è spesso un recinto dentro il quale viene fatto prigioniero l’uomo. Da una parte il silenzio interiore e dall’altra il silenzio sociale. Il silenzio ha molte facce e può uccidere come un mitra. Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva percepito il silenzio e “tutto ciò che chiedo è che qualcuno mi prenda a braccetto e passeggi con me, disse il Generale” (da Catania Bene di Sebastiano Ardita).
Silenzio e solitudine. Ti avvolge poco a poco. Ti trascina nell’oblio e nell’indifferenza generale. E’ un silenzio che sa di esilio, di reclusione, di mattanza. E’ lo spazio dentro il quale prevale il sussurro, la maldicenza, la diffamazione e l’agguato. Un silenzio grave e maleodorante. Nascosto dalla “bella società” dietro sorrisi e inchini di circostanza. Un’Ade dell’anima. Una punizione per gli uomini che cercano ancora oggi di esplorare la verità. Tentano di trovarla tra la ragione e il sentimento.
 
Il silenzio è anche contemplazione, ricerca di sé. E’ un viaggio dentro se stessi per ritrovare il senso della storia e dell’universo. E’ l’ascolto della natura, delle stelle, del fruscio dei rami, quando il vento soffia leggero. E’ il luogo dove ritroviamo i nostri pensieri, è la pausa tra due guerre. Quando qualche anno fa viaggiavo tra le campagne della Valle del Simeto – tra una meta e l’altra – il silenzio mi accompagnava e come una terra fertile produceva frutti. Il silenzio germoglia pensieri e idee. Permette di scavare nelle cose fino in profondità ed è la condizione indispensabile per la scoperta di sé. Solo attraversando il deserto, possiamo ritrovare la bellezza della nostra esistenza. La condizione allegorica del deserto si materializza con il silenzio interiore, con la contemplazione del senso del “divino”.
 
E’ necessario ritrovare questa dimensione. Quella del silenzio interiore. Anche nella città – la strada, la piazza e il vicolo sono il vuoto tra le parti. Il silenzio funzionale al suono. Architettura del vuoto e architettura del pieno. L’uno e l’altro sono parte della stessa armonia. L’esistenza di un conflitto tra le parti (i pieni e i vuoti) ha generato le perifericità. Ha rotto l’equilibrio tra natura e artificio, tra l’uomo e la sua estensione divina. Bisogna ricominciare ad interessarsi del vuoto, del silenzio, dello spazio tra le cose e non solo delle cose. Nell’arte zen il vuoto è importante. Nel vuoto può succedere di tutto.
Un momento di vuoto, di sospensione è fondamentale prima di tracciare un segno
 
La bellezza spesso risiede nella possibilità di contemplare le cose: un quadro, una scultura, un paesaggio, un’architettura, un uomo, le stelle. E per guardare ho bisogno di un vuoto tra me e le cose osservate. Quel vuoto è il silenzio. L’astrazione dello spazio. L’aria che non è visibile senza la quale non potremmo sopravvivere.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose / s’abbandonano e sembrano vicine /  a tradire il loro ultimo segreto, / talora ci si aspetta / di scoprire uno sbaglio di Natura, / il punto morto del mondo, l’anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità…
 
(da I limoni di Eugenio Montale)

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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