Su Dagospia lo storico adranita Dell’Erba sconfessa il best seller “M” di Scurati: il libro è dedicato a Mussolini

 

Sul popolare sito di informazione Dagospia lo storico adranita Nunzio Dell’Erba ‘piccona’ l’ultimo libro dello scrittore Antonio Scurati “M il figlio del secolo” dedicato a Benito Mussolini. Contro la precaria verità storica che emerge dal libro, dure critiche sono venute anche dallo storico e giornalista Ernesto Galli della Loggia sulle pagine del Corriere della Sera.      Il libro di Scurati è ai primi posti delle classifiche di vendita in Italia.

Questo il testo della lettera del prof. Nunzio Dell’Erba a Dagospia.

 

Gentile direttore,

ho letto con rammarico la lettera di Mirella Serri che ha pubblicato il 23 ottobre scorso su «Dagospia». Le sue posizioni sul romanzo M Il figlio del secolo (Milano 2018, pp. 841) di Antonio Scurati erano già note per averlo presentato su «La Stampa-tuttolibri» del 29 settembre con dovizia di elogi verso un libro «dove persino i dettagli sono storicamente verificati».  Nulla di più falso se si ha la pazienza di leggere attentamente il volume e controllare i brani citati (ben 216) che coprono un totale di 124 pagine, senza tenere presente le pagine bianche e quelle con il solo titolo dei vari «capitoli».                                                               La lettura veloce del romanzo da parte della collaboratrice del giornale torinese è un esempio significativo del modo come il romanzo sia stato più citato che letto, se si tiene presente la recensione elogiativa del romanzo, considerato su «Dagospia» «una vera medicina per qualsiasi nostalgia» e sul giornale torinese «un antidoto nei confronti di ogni indulgenza verso la dittatura».

Meraviglia il suo accenno iniziale all’episodio della mucca morta per una malattia infettiva e riesumata dai contadini del Polesine, nonostante il divieto del veterinario di consumare cadaveri putrefatti. Nel romanzo Scurati accenna a questa abitudine dei contadini, considerato quasi una falsa memoria (p. 242) da Giacomo Matteotti, definito un «socialista impellicciato» e «figlio di un ricco proprietario terriero». Sul padre lo scrittore napoletano sembra non avere le idee chiare, se nella medesima pagina lo definisce «agrario e usuraio», mentre più avanti afferma che egli era «sospettato di prestare denaro a usura» (p. 835).

Il numero degli «svarioni», come sono stati definiti da Ernesto Galli della Loggia, è più elevato rispetto a quelli rilevati dallo storico romano sul «Corriere della Sera» (14 ottobre). Incongruenze, giudizi di valore, date erronee, ripetizioni, confusione su alcuni personaggi e persino cambiamenti di termini nei brani citati si assommano nella descrizione degli eventi storici compresi tra il 1919 e il 1924. Il romanzo non presenta un indice dei singoli paragrafi, né ha un indice dei nomi, per cui è difficile dipanarsi nella selva oscura di un romanzo confuso, farraginoso e per molti aspetti privo di ogni valenza culturale.

Esso segue una scansione temporale, ma offre una rilettura superficiale degli eventi storici, descritti più con «l’occhio miope» dell’analista che con quello obiettivo dello scrittore e dello studioso abituato a lavorare sui documenti con lo scopo di comprendere gli eventi storici e la direzione verso cui si muove la società.

Il romanzo analizza il periodo compreso tra la costituzione dei Fasci Italiani di combattimento (23 marzo 1919) e l’omicidio di Giacomo Matteotti. Ma presenta Benito Mussolini come un personaggio indeciso, che non sa il motivo per cui deve pronunciare il discorso nell’assise costitutiva del nuovo movimento: «Ma perché dovrei parlare?!», quando il futuro duce pronunciò il suo discorso con arguzia nella ricerca di un consenso volto a favorire la sua ascesa politica, ponendo persino l’accento sul vincolo del «sangue» per irrobustire la coscienza nazionale.

Su questo nucleo composito l’Autore presenta un quadro distorto, riducendolo a un’accozzaglia di folli, di delinquenti e di fanatici (quadro poi ripreso da Mirella Serri), senza tenere presente le recenti ricerche storiche che considerano i Fasci come un variegato schieramento e un ampio fronte formato da interventisti ed ex combattenti. La capacità di Mussolini, profondo conoscitore del «sovversivismo» italiano, fu quella di riunire queste varie anime in un unico movimento sganciato dai sistemi dottrinali dei partiti tradizionali.

La struttura flessibile, a cui conformò la sua azione politica nella contrapposizione tra «movimento» e «partito», gli permise di aggiornare la sua tattica e di accogliere tutte le voci del sovversivismo, poi alimentato da nuovi contributi teorici che, seppure sbagliati e inidonei sul piano sociale, formarono l’ossatura teorica del fascismo.

Queste tematiche sfuggono all’Autore, che si dilunga in minuziose descrizioni come la composizione fisica della «sala riunioni del Circolo dei commercianti e degli industriali» con le «poltrone Biedermeier» e la vista della piazzetta parrocchiale (p. 10). Così riporta notizie inutili come il «furto di tre tonnellate di sapone» (p. 16 e p. 18), sbagliando i punti programmatici pubblicati su «Il Popolo d’Italia» del 6 giugno e confondendo i vari aspetti, là dove viene auspicata una «politica estera nazionale intesa a valorizzare nelle competizioni pacifiche della civiltà, la nazione italiana nel mondo»: una politica estera che egli inserisce nel «problema militare» e non «programma politico» (p. 63).

Con questo «svarione», l’Autore accenna al ruolo di Cesare Rossi (pp. 63-69 e pp. 71-72) e ai suoi rapporti con Mussolini, senza dire che egli era stato massone e membro di una «vendita carbonara», ossia di quel cenacolo rivoluzionario che si riuniva a Milano nella «pensione di via Eustachi». Sui rapporti tra Mussolini e Gabriele d’Annunzio, Scurati scrive pagine disordinate, alcune dedotte dal volume Mussolini il rivoluzionario 1883-1920 (Torino 1965) di Renzo De Felice. Su Nicola Bombacci (pp. 76-79), l’Autore non aggiunge nulla di nuovo nei suoi pochi e veloci cenni biografici, riprendendo dal volumetto Il comunista in camicia nera (Milano 1996) di Arrigo Petacco persino la descrizione delle sembianze fisiche («zigomi sporgenti» e «i malinconici occhi turchini» che diventano gli «occhi di un azzurro angelico» (Petacco, p. 11 e Scurati, p. 77).

Nella parte intitolata «Benito Mussolini 19 luglio 1919», Scurati gli attribuisce la frase «Questo proletariato ha bisogno di un bagno di sangue» come datata «19 luglio 1919» (p. 75), mentre essa venne sì pronunciata al liceo Beccaria proprio quel giorno, ma fu riferita dal futuro dittatore al 1913 durante la sua militanza socialista (la frase precisa si può leggere nell’«Opera Omnia di Benito Mussolini, Firenze 1954, vol. XIII, p. 252»). La nomea di dittatore fu formulata per la prima volta da Anna Kuliscioff in una lettera a Filippo Turati, datata 24 novembre 1921 e citata da Scurati (p. 447), ma solo che questa missiva non comprende alcun accenno a Mussolini (Cfr. F. Turati e A. Kuliscioff, Carteggio 1919-1922: Dopoguerra e fascismo, vol. V, Torino 1977, p. 730). Nel medesimo carteggio si legge una lettera di Anna Kuliscioff (p. 770), citata da Scurati e datata «dicembre 1921» (p. 464), che è invece attribuita a Filippo Turati: perché storpiare poi l’incipit?

La data erronea della disfatta di Caporetto, l’attribuzione a Giosue Carducci della famosa frase «La grande Proletaria si è mossa» piuttosto che a Giovanni Pascoli, la presenza degli «elettricisti» alla Scala nel 1846, «il ticchettio delle telescriventi» nel Viminale del 1922, la qualifica a Benedetto Croce di «professore» e quella di «politologo» ad Antonio Gramsci, la presentazione di «Monsignore Borgongini Duca» come «ambasciatore inglese presso la Santa Sede» il 16 novembre 1922, l’attribuzione di una lettera del 17 novembre 1922 a Francesco De Sanctis (morto nel 1883), il numero sbagliato dei morti durante la Prima guerra mondiale rientrano nella miriade di errori rilevati da Galli della Loggia, ai quali bisogna aggiungerne altri meno gravi come la lettera di Matteotti alla moglie, che contiene l’avverbio «irreparabilmente» diventato «irrimediabilmente» (Scurati, p. 513 e G. Matteotti, Lettere a Velia, Pisa 1986, p. 391).

Perché «la lacerazione» tra socialisti massimalisti e socialisti riformisti «si consuma il 3 ottobre a Roma durante i lavori del XIX congresso del partito socialista italiano» se questo si tenne dal 1° al 4 ottobre 1922? Perché Angelo Tasca è considerato «rampollo di una famiglia della borghesia torinese» (p. 186) se egli nacque a Moretta in provincia di Cuneo da una famiglia operaia (il padre era un semplice manovale delle ferrovie dello Stato): si veda la biografia su Angelo Tasca. Un politico scomodo, Milano 1985, p. 24.

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